Il cane giallo di Maigret

Il cane giallo di Maigret.

cane giallo maigret

Un cane giallo per Maigret.

Un’inchiesta del commissario a Concarneau.

Questo romanzo di Simenon rappresenta, a suo modo, un unicum nell’insieme della saga maigrettiana. È il primo romanzo Maigret scritto dopo il fortunato lancio della serie, a Parigi, nella famosa notte del 23 febbraio 1931.

Letto con attenzione, il romanzo rivela alcuni dettagli interessanti sulla figura del commissario parigino e, soprattutto sul suo autore che, forse, in quel momento, forte del recente successo ottenuto, ha alcuni sassolini da togliersi dalle scarpe.

Georges Simenon scrive il romanzo Il cane giallo, mentre si trova nei pressi di La Ferté-Alais nel cuore dell’Ile de France. Quasi una fuga dal successo e dal clamore delle notti parigine.

Lo scrive nel marzo del 1931 presso il castello di Michaudière a Guigneville, fra campi coltivati, foreste e laghetti. Forse sta navigando l’Essonne, un fiume della  Francia, lungo un po’ più di 90 chilometri che nasce nella regione del Centro e che si getta poi nella Senna a Corbeil. Nella zona della Ferté-Alais il fiume non è particolarmente adatto alla navigazione, ma tant’è che il nostro scrittore è lì in quel marzo del 1931 e nel successivo aprile.

L'Essonne presso La Ferté Alais

L’Essonne presso La Ferté Alais

Il castello di Michaudière è, in realtà, una villa costruita nel 1878 da un certo Pierre Schaeffer, fabbricante di pianoforti per la famosa casa Erard. Questa sorta di Hôtel particulier, assai monumentale, è circondato da un vasto parco attraversato dalle placide acque dell’Essonne. Nel 1920 la villa è trasformata in Hôtel di lusso e diviene meta di molti parigini facoltosi che desiderano “staccare” dal vivace caos della capitale e godersi un poco di “bon air“.

Evidentemente anche il nostro Simenon è alla ricerca di “aria buona” o, forse, solo di un luogo un po’ appartato per scrivere le sue opere. Possiamo dargli torto? Chiunque di noi lavorerebbe molto più piacevolmente in un ameno luogo di campagna, circondato da boschi e pianure, baciato dal primo sole di primavera.

Poi lo sappiamo: Il nostro Simenon ha un debole per i castelli!

Il cane giallo nella serie Maigret.

Il romanzo Il cane giallo vede la luce proprio quando il clamore per il lancio della collana Maigret, non si è ancora spento e la stampa non cessa di riproporre, sulle sue colonne, coloriti resoconti dell’evento. Simenon ha più di un motivo per essere soddisfatto: la risposta del pubblico è stata buona e il successo sembra a portata di mano.

È stata una splendida serata, quella del 23 febbraio a Parigi, e che i giornali ne abbiano parlato per giorni e ancora ne parlino, era proprio l’intenzione di Simenon.

il cane giallo di maigret

Il cane giallo nell’edizione francese.

Ma Simenon non molla il lavoro. Né rimane a Parigi a godersi l’improvvisa notorietà. Via dalla pazza folla!

Eccolo subito alla scrivania per rimpolpare di nuovi titoli la collana e battere il ferro fin che è caldo. Del resto lo sappiamo: scrivere per lui è un’esigenza quanto il come respirare.

Il cane giallo nasce quindi sull’onda del recente successo, in questa atmosfera elegante e bucolica sul finire dell’inverno 1931. Proprio mentre in tutta la Francia vanno a ruba i primi due titoli della serie e un nuovo romanzo, Il cavallante della Providence, è presentato al pubblico con grande enfasi dalla stampa francese.

Va detto che Simenon ha promesso a Fayard un titolo al mese! Lo scrittore ha solo due storie pronte nel cassetto: Pietr il lettoneil primo Maigret, scritto nel 1929 e Una testa in gioco, terminato poco prima del lancio promozionale parigino. Non è quindi il caso di rimanere troppo a lungo sugli allori.

Il cane giallo riassunto.

Il romanzo inizia con uno scatto d’orologio a scandire l’ora notturna. Siamo in una piazza spazzata dal vento in riva ad un mare in tempesta.

La piazza è quella di Concarneau ed il mare è in realtà l’oceano Atlantico.

Concarneau, cittadina della costa bretone, Simenon la conosce bene. Lì ha vissuto nell’autunno del 1930 e lì ha scritto il romanzo L’impiccato di Saint-Pholien e un sacco di altri racconti, da consegnare a Fayard per finanziare il lancio dei suoi Maigret. Racconti che saranno, come al solito, pubblicati sotto pseudonimo.

Solo con l’avvio della serie Maigret lo scrittore belga inizia a firmarsi con il proprio nome.

Ma torniamo alla trama del romanzo.

Un colpo di pistola sparato da dietro la porta di una casa abbandonata ed un notabile del luogo, ricco commerciante di vini, è ferito al ventre e crolla al suolo.

Questo l’avvio della vicenda narrata ne Il cane giallo. Vicenda che inizia in una notte tempestosa e che, in seguito, vedrà nuovi colpi d’arma da fuoco, avvelenamenti tentati e, in un caso, riusciti, l’inquietante scomparsa di un altro membro del clan locale dei notabili ed un misterioso cane giallo inspiegabilmente presente ad ogni misfatto.

Su tutto, il volto di un’umile ragazza, sulla quale si posa fin da subito l’occhio curioso di Maigret e che, immediatamente, il commissario decide di non “mollare” più.

“Una questione di atmosfera…di facce…Arrivando qui, mi sono trovato davanti una faccia che mi è piaciuta e non l’ho più mollata.”

Un’intuizione che, più di ogni altro fatto concreto, porterà l’investigatore di Simenon a dipanare lentamente l’ingarbugliata matassa.

Un intrigo notevole dove il commissario Maigret, temporaneamente distaccato in zona, si muove con la delicatezza di un elefante in un negozio di cristalleria. Incurante delle pressioni politiche e delle prove materiali. Tutto concentrato ad osservare il comportamento dei protagonisti, a conoscere le loro storie, a capire il loro mondo e le loro motivazioni più recondite.

Con Il cane giallo il lettore è finalmente posto di fronte a una prima canonizzazione di quello che sarà, in seguito e per sempre, il famoso “metodo Maigret“. Contrapposto al metodo classico deduttivo, rappresentato nel romanzo dalla figura del giovane ispettore che collabora con il commissario, tutto attento ai dettagli e agli indizi reali e verificabili.

Se, nei romanzi precedenti, il modo tutto personale ed intuitivo, che Maigret utilizza nel condurre un’inchiesta, è solo percepito dal lettore, qui, il metodo, è al centro del romanzo almeno quanto l’intreccio della storia stessa.

E anche il carattere del commissario è evidenziato, forse, ancora più in profondità di quanto lo sia stato nei due romanzi pubblicati al debutto della serie: Il defunto signor Gallet e L’impiccato di Saint-Pholien.

Un Maigret ruvido, fin quasi alla malagrazia, con tutti coloro che lo intralciano. Che parla poco e fa quasi solo domande, ma si rivela di una dolcezza inaspettata e assoluta, davanti alle vere vittime della vicenda (cane compreso).

Il cane giallo: Le inchieste di Maigret (6 di 75) (Le inchieste di Maigret: racconti)

Concarneau in Bretagna

Concarneau. In alto a sinistra L’Hotel de L’Amiral

Il cane giallo: viltà e paura.

Il cane giallo è una storia che contrappone vittime a carnefici, vigliacchi a coraggiosi, onesti e fedeli a farabutti e traditori.

Questa è anche una storia che parla della paura e degli uomini di fronte ad essa. Una paura che ognuno dei personaggi coinvolti vive a modo suo; i notabili, i politici, il popolo minuto.

Se i notabili di Concarneau, arrivisti da quattro soldi o privilegiati per nascita, ma debosciati di carattere, sono pronti ad ogni bassezza quando sembra loro in pericolo la propria posizione o tranquillità e simboleggiano un certo tipo umano, meschino e mediocre. Anche il popolino della città bretone è guardato con occhio disincantato.

Emerge in esso l’istintiva chiusura, la diffidenza e la facile crudeltà con cui, la maggior parte degli uomini, reagisce alla paura irrazionale, attraverso l’individualismo e l’istinto di conservazione.

“Si sentiva che qualche istante prima un’ebrezza malsana animava gli spettatori, all’infuori di una vecchia che dalla finestra gridava:

-È vergognoso!…Tutti ad accanirsi su quella povera bestia…E io lo so perché!…Perché ne hanno paura-.”

Badiamo bene: né i primi né i secondi sono considerati, da Maigret, come il male o il bene in assoluto. Il commissario non crede che esistano queste due categorie. Per questo egli riesce a trattare sullo stesso piano con entrambi, ma senza mai confondere gli uni con gli altri.

Molte delle azioni che gli uomini compiono sono condizionate da pressioni esterne e interne. Di  questo Maigret è ben consapevole e proprio da questa consapevolezza scaturisce la sua “comprensione” nei confronti del colpevole.

Il modo, però, in cui un uomo reagisce a quella pressione dipende dalle sue qualità, se ci sono, o dalla mancanza di quelle qualità. Questo è profondamente umano e Maigret lo accetta.

Pur non potendo lasciar correre è, come uomo, pronto a comprendere la sproporzione di forze tra la pressione del momento e il valore reale dell’essere umano travolto dalla situazione. Coglie perfettamente le motivazioni, assolutamente soggettive, che hanno condotto il colpevole a compiere il suo crimine.

Ma proprio perché comprende profondamente l’uomo nella sua complessità, Maigret, riesce a riconoscere in esso anche quel tanto di malvagità autentica, di egoismo e indifferenza al dolore altrui, che, a volte vi si annida.

Ed è proprio quello che accade nel romanzo Il cane giallo. A monte de misteriosi delitti che terrorizzano Concarneau c’è un misfatto precedente: un’azione miserabile quanto vile. A questo punto, Maigret, intimamente giudica e lo fa prima come uomo che come poliziotto! E il suo giudizio è categorico e senza appello.

Perché Maigret rispetta il valore e  la profondità dei sentimenti. Rispetta quell’onestà di fondo che può albergare anche nell’animo del peggiore malfattore. Disprezza senza rimedio il vigliacco e il mediocre, il parassita, il disonesto che si nasconde dietro una facciata di perbenismo.

Tutto questo appare chiaramente nel finale de Il cane giallo.

Siamo oltre il Populismo letterario che si andava affermando in quell’epoca. Siamo all’indagine sull’interiorità umana ben oltre i limiti imposti dalle convenzioni sociali e dalle barriere politiche.

Maigret riunisce colpevoli e sospettati.

Il finale del romanzo, quando tutto si finalmente si chiarisce, è degno di un Nero Wolf o un Ercule Poirot.

Con tutti i protagonisti raccolti intorno a un Maigret che fornisce loro la soluzione del dramma e il nome dei colpevoli.

Qui avviene un colpo di scena che, ovviamente, non diciamo, ma che si inquadra benissimo in quella definizione dell’animo di Maigret di cui dicevamo in precedenza.

Proprio questo finale dimostra ulteriormente come Maigret, in realtà, giudichi e lo faccia a tal punto da essere disposto anche a barare un pochino, per evitare guai a coloro che a suo avviso proprio non se li meritano.

Il cane giallo e i notabili di Concarneau.

Quella dei notabili di Concarneau è una piccola consorteria di individui, apparentemente in vista, della cittadina bretone. Un circolo composto da poche e scelte persone, economicamente più o meno benestanti, ma sicuramente ricche di supponente arroganza nei confronti del resto della comunità.

Figure d’individui di questa categoria appariranno ancora, dopo questo romanzo, in altre opere di Simenon, abbiano esse Maigret per protagonista o meno.

Simenon li colloca quasi sempre in cittadine di provincia e ne fa l’archetipo dell’egoismo interessato e gretto che si maschera da perbenismo e rivendica una superiorità non solo sociale, ma anche morale, nei confronti degli altri esseri umani, della Legge e dello Stato.

Individui che si considerano al disopra di tutto e di tutti, ma che in realtà bramano solo il denaro e il potere. Anche il potere piccolo piccolo che deriva loro dall’essere i maggiorenti di un paesino di pochi abitanti.

Sono grossi commercianti venuti dal nulla e arricchitisi con truffe e raggiri di ogni tipo. Oppure rampolli di antiche famiglie ricche e potenti che hanno ereditato, senza alcun merito, fortune che non avrebbero mai saputo conquistarsi da soli. Politicanti locali, arroganti e prepotenti, in cui la falsa condiscendenza verso gli altri è solo pari alla loro ambizione.

Piccoli e grandi borghesi. La parte soddisfatta della società, per dirla con Victor Hugo.

Il resto della popolazione locale li rispetta solo perché li teme. Perché è quasi sempre da loro che dipende la sicurezza economica o addirittura fisica di tante persone comuni, e perché crede che essi abbiano, in ogni caso, la legge e le istituzioni dalla loro parte.

Quando, però, nel paese esplode un dramma, quando la paura e l’insicurezza iniziano a diffondersi è proprio contro questa sorta di consorteria che si indirizza il malcontento popolare.

Situazioni che ritroveremo anche in altri romanzi Maigret ambientati in provincia.

Maigret populista o socialista?

La posizione di Maigret di fronte all’arroganza del notabile o del ricco di turno è sempre quanto meno di fastidio.

Questa categoria di persone ha la pretesa di considerare il commissario un po’ come se fosse al proprio servizio, o come un povero diavolo che non sa con chi si trova ad avere a che fare, e che non può capire le superiori motivazioni che stanno al fondo di certe vite così speciali.

Maigret li detesta e detesta se stesso ogni qual volta, anche solo per un momento, si sorprende a subire suo malgrado questa loro presunta superiorità.

Molto spesso, nel suo intimo, si trova schierato dalla stessa parte del popolo minuto che li teme o, comunque, dalla parte delle vittime della loro arroganza:

“Vede, io ho capito che lei guardava senza simpatia il nostro gruppo del Café de L’Amiral. Le hanno detto che mi occupavo di vendita di terreni…Figlio di un ex deputato…Dottore in medicina…E quelle serate intorno al tavolo di un caffè in compagnia di altri falliti come me…”

Ma quello di Maigret non è assolutamente un atteggiamento ideologico. Simenon non glielo consente.

Non è nemmeno l’atteggiamento mentale “populista” di chi considera il popolo minuto come depositario di tutte le qualità migliori; la parte “sana” della popolazione.

Pochi al mondo, credo, abbiano condiviso, quanto Simenon, il pensiero che Pietro Nenni riassunse così bene nella nota frase:

“Le idee camminano sulle gambe degli uomini”

Simenon non nutre troppe illusioni sulla reale essenza dell’uomo. Non si sogna nemmeno di ragionare in termini di ideologia. E Maigret si comporta esattamente come il suo autore. Non crede che una particolare fede o idea possano condurre ad un mondo migliore. Bisognerebbe che, nel loro intimo, gli esseri umani fossero altro da se stessi.

Tutto quello che si può fare è cercare di ristabilire, se non giustizia, almeno equità. Ogni volta che qualcuno rompe, per un proprio vantaggio, capriccio od ossessione, il sottile equilibrio che regge la convivenza umana, lì vi è non solo delitto, ma profonda ingiustizia.

Questo è il compito che Maigret ha assegnato a se stesso. Non potendo intervenire prima che l’equilibrio si spezzi, non gli resta che, a malincuore, cercare di ridurre i danni.

Forse il sentimento che contrappone Maigret alle classi borghesi alte e medio alte, si potrebbe riassumere bene ricorrendo ad una frase che lo scrittore Carlo Castellaneta, nel suo romanzo più famoso, Notti e Nebbie, fa pronunciare al protagonista, anche lui poliziotto come Maigret, ma, al contrario di questi, decisamente schierato in politica.

“…,ho sempre detestato i ricchi perché non conoscono altra morale, non hanno altra ideologia che il proprio interesse,…”

Anche Maigret, partendo da presupposti completamente opposti, del tutto non ideologici, sembra giungere a conclusioni simili, in molte delle sue inchieste e, in particolare nel romanzo Il cane giallo.

Qui risulta più marcata l’avversione del commissario per un certo ambiente di faccendieri e intrallazzatori che, dietro un paravento di rispettabilità, arrivano a violare ogni legge per puro interesse personale e con l’intima convinzione di averne il diritto. Forse più che in qualsiasi altra inchiesta di Maigret.

Niente odio o avversione preconcetta in Maigret. Se il commissario prova fastidio è più verso se stesso: verso quell’istintiva soggezione che lo coglie al cospetto di personaggi che si credono “importanti”. Poi la sua indagine interiore spoglia quei “personaggi” di ogni orpello esteriore, lasciandoli nudi di fronte a se stessi e alla loro normalità di uomini.

Una curiosità: a Concarneau c’è un luogo che esiste tutt’ora, citato anche nel romanzo: si chiama La pointe du Cabellou. Qui, fra il 1925 e il 1936, un deputato francese, tale Charles Leboucq, realizzò una grossa speculazione edilizia per attirare i turisti parigini, naturalmente a danno del patrimonio paesaggistico del luogo. Simenon ne era sicuramente al corrente avendo vissuto nella cittadina bretone e, forse la figura del deputato in questione può aver fornito allo scrittore ispirazione per i protagonisti del suo romanzo.

Non solo! Nel progetto di urbanizzazione venne prevista anche la riedificazione di un’antica cappella demolita ai tempi della Rivoluzione francese: la cappella di Saint Fiacre!

Guarda caso, proprio Saint Fiacre diventerà il nome del paese natale di Maigret.

Maigret il cane giallo e i giornalisti.

Simenon è forse così euforico e soddisfatto per i recenti successi che, consapevolmente o meno, decide, scrivendo questo romanzo, di togliersi alcuni altri sassolini dalle scarpe.

Così dopo aver preso di mira politicanti, borghesi e profittatori eccolo attaccare pesantemente l’ambiente della Stampa, di cui egli stesso fa parte ormai da anni.

Simenon conosce benissimo questo ambiente avendo lavorato proprio come giornalista fin dall’età di sedici anni.

Lo scrittore presenta i colleghi con toni assai poco generosi; toni che non si ritrovano nei romanzi Maigret degli anni successivi.

I giornalisti che invadono Concarneau e il Café de L’Amiral vengono mostrati come una sorta di società nella società. Autoreferenziali ed ingombranti. In qualche caso utili, ma sempre percepiti come un corpo estraneo nella vicenda e, persino, nel contesto sociale.

Una casta caratterizzata da un suo modo di vestire, da propri atteggiamenti, da un interesse esclusivo per le vicende piuttosto che per le persone. Tutti legati da una parvenza di cameratismo che viene loro dalla comune prosopopea e, anche in questo caso, da un notevole senso di superiorità.

Forse la sua critica è rivolta più ai cronisti che ai giornalisti in generale, ma è abbastanza chiaro che la critica c’è, è severa, e traspare bene dalle pagine del romanzo. Fin dall’inizio, quando proprio un giornalista locale si rende responsabile, con una serie di azioni discutibili, del panico che si diffonde nel paese. Per quest’uomo non vi è, nelle pagine di Simenon, altro che dura critica, scarsa considerazione e persino sarcasmo.

Magnifica poi la descrizione dell’arrivo in città della turba di cronisti, giunti fin da Parigi, attirati dal dramma che si presenta sempre più misterioso e inquietante e, per questo, interessante da proporre ai lettori, con tinte fosche e toni accesi.

“Alle nove di sera l’albergo era diventato una sorta di quartier generale. Erano arrivati altri due cronisti. Uno scriveva il suo articolo a un tavolo in fondo alla scala. Ogni tanto un fotografo scendeva dalla sua camera. – Non avrebbe dell’alcol a novanta gradi? Ne ho assolutamente bisogno per far asciugare le pellicole…”

Il cane giallo e il Polar.

Questo romanzo è, dunque, un ottimo poliziesco ben congegnato. Una trama lineare e credibile nella sua semplicità. Con quel tanto di mistero che non guasta, un po’ di azione e tutta la capacità investigativa di un Maigret, che riesce a calarsi nell’ambiente e nei panni dei protagonisti. Infine, quella banalità del male che contribuisce a rendere vera più del vero una vicenda “buona per tutte le stagioni” e, in definitiva, sempre attuale.

Il successo del libro, lo sappiamo, fu notevole, come per tutti i romanzi che lo precedono e seguono . Tanto notevole che, subito, arriva una proposta per la riduzione cinematografica di quest’opera.

Il cinema sembra essersi innamorato immediatamente di Maigret!

Quasi contemporaneamente arrivano a Simenon la proposta di Jean Renoir per la trasposizione del romanzo La nuit du carrefour e, da parte del regista Jean Tarride, proprio per Il cane gialloLe chien jaune.

La pellicola esce nelle sale nel 1932 con il personaggio di Maigret interpretato da Abel Tarride, padre del regista, attore di buona fama, che in quel momento ha sessantacinque anni.

Il film ha un buon successo, ma non raggiunge i livelli espressivi dell’opera di Renoir.

Premesso che è difficile rendere nel cinema la complessità del mondo espressivo di Simenon e che nessun regista vi è veramente riuscito.

Renoir va il merito, almeno, di aver perseguito, attraverso le immagini un suo proprio intento espressivo, conferendo alla vicenda del crocevia un particolare timbro che, se non è del tutto quello di Simenon, ha il merito indubbio di essere estremamente valido ed originale.

Tarride, nel suo Le chien jeaune, non sembra perseguire un particolare ideale stilistico. Confeziona un discreto polar sommando una serie di sequenze dove Maigret sembra subire l’azione anziché compierla, così da arrivare ad un finale poco convincente dove è difficile rendersi conto del come egli sia arrivato alla scoperta della verità.

Restano in ogni caso delle belle scene girate in esterno e un piacevole tentativo di restituire le famose atmosfere nebbiose alla Simenon (esistono poi veramente o sono un mito?).

In aggiunta a tutto questo, il protagonista, Abel Tarride, è piuttosto grassoccio e, con la sua rigidità e pesantezza, ci restituisce la figura di un commissario decisamente provinciale nella più classica delle versioni.

Nel romanzo Le memorie di Maigret del 1950, Simenon definisce, per bocca del suo personaggio, l’interpretazione di Abel Tarride:

“…sotto le sembianze di Abel Tarride ero diventato obeso e bonaccione, e così gommoso da assomigliare ad un animaletto gonfiabile che sta per volare verso il soffitto. Per non parlare delle strizzatine d’occhio con cui sottolineavo le mie trovate e il mio acume.”

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Il cane giallo

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Il cane giallo di Maigretultima modifica: 2021-09-08T18:48:24+02:00da albatros-331
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