Un Maigret di nostalgia e solitudine

Un’indagine di Maigret alla ricerca del tempo perduto.

Maigret e l'uomo solitario. Un Maigret di nostalgia e solitudine.

Maigret e l’uomo solitario. Un Maigret di nostalgia e solitudine. – Foto di Mitchell Hollander su Unsplash

Maigret e l’uomo solitario.

Maigret e l’uomo solitario è un romanzo di Georges Simenon, sicuramente molto noto, ma sul quale è, forse, meno facile trovare in circolazione commenti e considerazioni. Molto meno che su altri titoli assai più frequentati da lettori ed esperti vari.

Si tratta di un “Maigret” dell’ultimo periodo: quello che precede di poco la definitiva chiusura della serie poliziesca di Simenon.

Il decennio che si apre con il 1970 vedrà la pubblicazione di soli cinque titoli, della serie dei romanzi dedicati a Maigret.

Di questi, il primo ad andare in stampa venne scritto, in realtà, nel settembre del 1969: Maigret e il produttore di vino.

Sono dunque solo quattro i romanzi che Simenon realizza, effettivamente, nel corso degli anni ’70. Vedono la luce fra il maggio del 1970 e il febbraio del 1972.

Sono rispettivamente: La pazza di Maigret (1970), Maigret e l’uomo solitario (1971), Maigret e l’informatore (1971) e quel Maigret e il signor Charles, del 1972, destinato a chiudere definitivamente la serie di romanzi dedicata al commissario parigino con pipa e bombetta, che tanta fortuna e fama ha portato al suo autore.

Fra questi ultimi Maigret, tutti meritevoli di grande attenzione, ve n’è uno, che appare particolarmente intriso da un sentimento di profonda nostalgia e da un, altrettanto, intenso senso di solitudine.

Nostalgia per il tempo che passa e per le cose che cambiano; solitudine dell’uomo di fronte alle scelte definitive della propria vita.

Quando si cita un romanzo, della serie Maigret, particolarmente ispirato dalla nostalgia, quasi sempre, si fa riferimento a noto “Il morto di Maigret” del 1948. Opera in cui, un Simenon trasferitosi da pochi anni negli Stati Uniti, sembra porre fra i protagonisti della vicenda narrata proprio la città di Parigi, con le sue vie e i suoi quartieri: quasi un omaggio dell’esule alla patria perduta.

Non ho mai condiviso a pieno questa interpretazione, ma, al di là di questo: il vero romanzo della nostalgia scritto da Simenon è quello di cui mi accingo a trattare ora: Maigret et l’homme tout seul.

Il secondo, dei già citati Maigret degli anni ’70, e terz’ultimo della saga maigretiana.

Quando Simenon lo realizza, nel febbraio del 1971, lo scrittore è ormai prossimo al suo sessantottesimo compleanno. Alle sue spalle due mogli, quattro figli, tanto successo. Al suo fianco, ormai da sei anni, una nuova, tenerissima, compagna.

Non è sicuramente uno sconfitto, il Simenon di quegli anni. La salute è ancora buona, il successo delle sue opere è universale, la stampa internazionale si interessa di lui e lui si concede volentieri a giornali e televisioni di ogni dove.

Certo, dietro di se, ha più vita di quanta possa immaginarne innanzi e questo non è mai un pensiero completamente gradevole.

Può non esservi amarezza, ma non stupisce un tantino di nostalgia.

Ed è proprio la nostalgia che traspare in maniera importante dalle pagine di questo romanzo, scritto durante la prima settimana del febbraio 1971.

In quei giorni di febbraio, Simenon, ancora non immagina che quel romanzo è destinato ad essere la sua terzultima opera, con Maigret, e una delle sue ultime in assoluto.

Di una cosa credo di essere certo: la percezione del tempo che fugge e tutto trasforma o, addirittura, cancella, si deve essere insinuata in lui profondamente.

Questi sentimenti possono apparire fuori luogo in un uomo che in vita sua non ha mai temuto il “cambiamento”, anzi, spesso lo ha caparbiamente cercato. Basti pensare al considerevole numero di traslochi che ha caratterizzato la sua vita.

Ma la volontà di cambiare, luoghi, abitudini e anche frequentazioni, potrebbe anche essere lo specchio di un desiderio di stabilità sempre frustrata.

Oppure, più semplicemente, l’incombere della vecchiaia, con le sue implicite limitazioni, può trasformare un uomo curioso ed aperto al nuovo, in un essere molto più timoroso di un futuro, che sente di poter sempre meno gestire, e più aggrappato alle abitudini del presente e ai ricordi cari del passato.

Nel 1970 Simenon è in Svizzera già da molti anni. Parigi non la vede da tempo, se non di sfuggita, per rapidi passaggi di lavoro o di famiglia.

In quella città ha vissuto, seppure ad intermittenza, per una quindicina d’anni, fra il 1922 e il 1936, e, forse, non l’ha mai veramente amata o capita o si è sentito capito da lei.

Dal mio arrivo a Parigi, mi ero sentito pesante, goffo, tra i parigini spensierati che si facevano strada allegramente per la città e che avevano sulle labbra battute così facili. (Roger Stéphane, Portrait-souvenir de Georges Simenon, Paris, Quai Voltaire, 1989.)

Parigi è comunque un riferimento importante nella sua vita, una fonte di ispirazione per tanti suoi romanzi, un indelebile ricordo di giorni e tempi eroici.

È in quella città che si forma come scrittore; è a Parigi che conosce il successo e lo conquista.

Seppure in Svizzera, Simenon, legge anche giornali francesi e si tiene informato su Parigi e, in quel febbraio del 1971, non può sfuggirgli la notizia dell’avvio dei lavori di demolizione dei vecchi padiglioni delle Halles (il mercato all’ingrosso di alimenti freschi)

È un fatto destinato ad innescare in lui ricordi e amare considerazioni: sul passato, destinato a svanire, e sul futuro, incerto, verso il quale, senza l’entusiasmo di un tempo, lo scrittore necessariamente si avvia.

È un pezzo della sua vita che se ne va, fisicamente e definitivamente, fra i ricordi.

Les Halles di Parigi, Simenon, le conosceva assai bene: erano solo ad una mezz’ora di passeggiata dalla sua casa di Places des Vosges. Sono state lo scenario di molti romanzi, soprattutto Maigret, ma non solo.

Divenute obsolete, con l’ingrandirsi della città nel secondo dopoguerra, la municipalità parigina decide, già nel 1959, che dovranno trasferirsi altrove. Troppo piccole, poco raggiungibili e decisamente insalubri per restare in pieno centro cittadino.

Il grande mercato all’ingrosso viene trasferito a Rungis, dove apre i battenti il 3 marzo del 1969.

È un’operazione colossale che coinvolge 20 mila persone, un migliaio di attività commerciali, 10 mila metri cubi di materiali, 5 mila tonnellate di mercanzia e ben 1500 mezzi di trasporto.

Il trauma maggiore, per molti parigini e per Simenon, è però, di certo, la notizia dell’avvio dei lavori di demolizione dei padiglioni che occupano quella vastissima area nel cuore di Parigi. Siamo proprio nel 1971.

È in quel preciso momento che Le Halles scompaiono definitivamente.

Combinazione o meno che sia, Simenon scrive il suo romanzo, Maigret et l’homme tout seul, e lo ambienta, guarda caso, in due zone ben distinte di Parigi che egli conosce profondamente (almeno per come erano e per quello che rappresentavano ai suoi tempi): Les Halles e Montmartre.

Un luogo simboleggia il cambiamento inevitabile e incombente, l’altro il rifugio immutabile in cui trovare sicurezza e conforto.

Da un lato rue du Cygnerue de la Grande-Truanderie, destinate presto a mutare, e quell’impasse du Vieux Four di cui, di lì a breve, non resterà alcuna traccia.

Dall’altro rue Lepic, rue Caulaincourt, rue Marcadet, place Constantin-Pecquer. La Montmartre che Simenon conosce così bene. Quella di cui egli stesso definisce nel romanzo:

…uno dei quartieri di Parigi in cui la gente rimaneva più a lungo nella stessa casa. C’era chi non scendeva quasi mai in città.

È certo il luogo – fatta eccezione per il Quai des Orfèvres e il Boulevard RichardLenoir –  con la maggiore densità di presenze all’interno dei romanzi Maigret, ambientati a Parigi.

A marcare il punto, sui due opposti lati della città, la famosa brasserie Chez Manière, al 65 di rue Caulaincourt ed il noto ristorante Chez Pharamond, al 24 di rue de la Grand Truanderie.

Ironia della sorte: il ristorante di Montmartre esiste ancora, ma con un nome diverso – Le Cépage Montmartrois – mentre quello delle Halles è ancora lì, con lo stesso nome e può vantare una citazione nel magnifico film del 1957, di Henry KingThe Sun Also Rises (Le soleil se lève aussi, oppure per noi italiani, Il sole sorgerà ancora), tratto da un famoso romanzo di Ernest Hemingway.

 

Maigret e l’uomo solitario è un’inchiesta ed un viaggio nel tempo.

Maigret e l’uomo solitario è un bel poliziesco, proprio uno di quelli che preferisco.

È molte cose, questo romanzo, ma soprattutto è un viaggio nel tempo.

L’inchiesta si apre con una vittima di cui nessuno sa nulla – un po’ come Il morto di Maigret o Maigret e la ragazza morta – e, innanzi tutto, per comprendere quell’inspiegabile omicidio, sarà necessario scoprirne, prima, l’identità e ricostruirne la storia.

Un viaggio a ritroso nel tempo, dove i fatti del presente hanno come cornice un vicolo, nei pressi delle Halles, le cui abitazioni, abbandonate, attendono solo d’essere rase al suolo.

È il torrido agosto del 1965 e il grande mercato parigino è ancora al suo posto ed in piena attività. Nel quartiere, al contrario, le botteghe di artigiani e commercianti, sono quasi tutte chiuse per le ferie estive e l’odore dominante è il puzzo di decomposizione di frutta e verdura.

Il “presente” della vicenda è, dunque, quel vicolo assurdo, intorno al quale si agita tutta una fauna di vagabondi e barboni. Durante il giorno ubbriachi e, di notte, impegnati a scaricare i camion di derrate, al mercato, per guadagnare il poco denaro necessario a garantirsi la sbornia del giorno successivo.

Ma c’è un altro “presente”: ed ha Montmartre come cornice. È un presente perfettamente identico al proprio passato. Profuma di verdure fresche sulle bancarelle di rue Lepic, di piccoli bistrot fuori moda, dove puoi trovare ancora quell’aperitivo tanto noto vent’anni prima.

A frequentare questi luoghi sono massaie ed artigiani, commercianti e pensionati. Tutti si conoscono, tutti abitano in zona da sempre e, fra loro, parlano di fatti avvenuti chissà quando, come se fossero accaduti ora o poco più.

Lì si nasconde la verità che Maigret deve con pazienza ricostruire.

Maigret conduce l’inchiesta e risolve il mistero.

A condurre l’inchiesta è un Maigret di cinquantacinque anni, determinato più che mai a venire a capo della faccenda ed a scoprire la verità.

Non sembra assillato dal pensionamento imminente, come accade in altri romanzi. Anzi! Proprio non vi accenna per nulla.

L’età non sembra pesargli, fuma ancora regolarmente le sue pipe, ma conta le birre e gli alcolici che consuma nell’arco della giornata. Potrà così dimostrare, non senza una certa fierezza, al suo medico ed amico – il dottor Pardon che gli consiglia moderazione – la propria forza di carattere.

Il Giudice istruttore è un giovane magistrato ed anche il medico legale è nuovo di zecca. Il vecchio Dott. Paul non solo ha lasciato il servizio, ma è deceduto.

Fra i due mondi che il commissario si accinge ad esplorare, fluttua una Parigi d’agosto, pigra, torrida e semideserta: solo torme di ignari turisti che si agitano, inconsapevoli ed ammirati, dall’uno all’altro dei luoghi più noti della città.

L’indagine del commissario e dei suoi collaboratori prosegue fra alti e bassi: nuove rivelazioni e brusche battute d’arresto.

I testimoni chiave, che gli consentono di ottenere informazioni importanti sulla vittima, sono quasi tutti anziani: pensionati o prossimi al pensionamento. Purtroppo alcuni di coloro che potrebbero fornire le rivelazioni più determinanti sono ormai deceduti e questo pone il commissario di fronte ad altrettanti vicoli ciechi dai quali sembra impossibile uscire.

Maigret riuscirà mai a scoprire la verità sul misterioso omicidio del vicolo du Vieux Four? C’è da temere di no! Lo stesso Maigret giunge a dubitarne. C’è qualcosa, in quel lontano passato, che gli sfugge.

È normale, del resto: in ogni sua indagine c’è un momento di scoraggiamento che lo fa sentire inadeguato.

Poi, come sempre, la soluzione arriva. Una serie di informazioni e testimonianze e un colpo di fortuna.

Dopo la vittima anche la figura del colpevole inizia a delinearsi ed è un colpo di scena: chi è veramente vittima? Chi veramente colpevole?

A questo punto tutto appare chiaro, almeno nella concretezza dei fatti, ma il romanzo ci riserva una nuova sorpresa.

Nella stragrande maggioranza delle sue inchieste, Maigret, ha scoperto assassini di ogni genere, sesso, inclinazione ed educazione. Molto più ristretta è, al contrario, la gamma dei moventi che conducono il colpevole all’atto criminale per eccellenza: l’omicidio.

Quasi sempre, gli assassini proposti da Simenon, uccidono per reale o presunta necessità. Per difendere la propria posizione sociale minacciata, per ottenere denaro, per eliminare il pericoloso testimone di un precedente reato. Pochi gli omicidi strettamente passionali, pochissimi quelli di origine patologica.

In questo romanzo troviamo un movente estremamente particolare, in un certo senso anche poco razionale, ma assolutamente realistico e persino comprensibile, se analizzato da un certo punto di vista.

Maigret se ne rende perfettamente conto ed anche questa volta, come gli accade sempre, comprende. Certo non giustifica, ma comprende.

Forse è persino sollevato dall’epilogo della vicenda.

Il Presente, il Passato e, persino, il Futuro, di un essere umano, rimangono sempre collegati fra loro.

Si può cercare di sfuggire il Passato, ancorandosi ad un eterno Presente senza alcun Futuro, oppure, al contrario, vivere il Presente ed affrontare il Futuro, rimanendo pesantemente ancorati al proprio Passato.

Sono facce diverse della stessa solitudine.

La solitudine delle scelte radicali, quelle che, nel bene o nel male, possono segnare per sempre un’esistenza.

Fino alla resa dei conti finale.

I romanzi Maigret visti da me!

Leggi altre “recensioni” ai romanzi Maigret.

Acquista su Amazon Maigret e l’uomo solitario.


Se ti piacciono le pagine di questo blog:  offrimi un caffè…o un calvados!


 

Un Maigret di nostalgia e solitudineultima modifica: 2023-02-18T02:09:08+01:00da albatros-331
Reposta per primo quest’articolo