Biscotti amari per Maigret.

Una Parigi in bianco e nero negli occhi di Maigret.

Parigi ai primi del '900: Quai de la Gare a Ivry,

Parigi ai primi del ‘900: Quai de la Gare a Ivry,

Simenon indaga l’uomo e lo scadere del suo tempo.

Biscotti amari per Maigret! Qualcuno avrà certamente già capito a cosa mi riferisco, altri se lo staranno chiedendo spero.

Confesso che, nell’inconscio profondo, mi illudo che su queste pagine possa capitare un lettore che conosce Simenon e Maigret solo per sentito dire e che non ne abbia mai letto nulla. Magari sarà invogliato a saperne di più e inizierà a leggere Simenon…

Vanità delle vanità…

Oggi parliamo di un romanzo che ci presenta un Maigret immusonito, forse irritato, certo un po’ triste.

Si tratta di Maigret et les témoins récalcitrants. Romanzo scritto fra il 16 e il 23 di ottobre del 1958 al castello di d’Echandens (cantone di Vaud), in Svizzera.

È un periodo delicato della vita dello scrittore, segnato dalla crisi, ormai definitiva, del suo secondo matrimonio.

In una mattina come ve ne sono state tante altre nella sua vita, il commissario scende le scale del sul appartamento, al 132 di Boulevard Richard Lenoir, per recarsi al lavoro.

È lunedì, piove ed è Novembre. Più di ogni altra cosa, Maigret, sente il peso dei tanti anni trascorsi e l’incombere del pensionamento.

«Non dimenticare l’ombrello.»

«No.» La porta si stava per chiudere e Maigret si era voltato verso le scale.

«farai meglio a metterti la sciarpa.» La moglie lo richiamò, senza sospettare che quella piccola frase lo avrebbe messo di cattivo umore e gli avrebbe ispirato pensieri malinconici.

Negli occhi di Maigret “una Parigi in bianco e nero, come nei vecchi film“, nella mente alcuni pensieri sgradevoli, sospesi a mezz’aria fra il conscio e l’inconscio. Maigret si avvia al lavoro come ogni mattina, con l’ombrello aperto sotto una pioggia sottile.

Uno sgradevole mal di collo al risveglio, la sollecitudine di M.me Maigret preoccupata per la sua salute.

Poi è il tre novembre e la festa dei Morti è appena trascorsa.

Pensieri vagamente cupi: malattia, vecchiaia, la pensione, ormai prossima, di lì a due anni. Forse, in sottofondo, l’idea stessa della morte o, almeno, la consapevolezza di avere innanzi meno tempo che alle spalle.

Considerazioni tipiche di un giorno di pioggia ai primi di novembre.

Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti,
lungo i giardini consacrati al pianto si festeggiano i morti, si festeggiano i morti…
Cade la pioggia ed il tuo viso bagna di gocce di rugiada
te pure, un giorno, cambierà la sorte in fango della strada, in fango della strada…

Canzone dei dodici mesi – Francesco Guccini

Maigret tra un presente malinconico e un futuro incerto.

Giovani indifferenti, forse sprezzanti vanno verso la vita; il commissario sale le scale del Quai des Orfevres incerto del proprio futuro. Desiderandolo, in parte, temendolo un po’. Soprattutto sapendolo inevitabile.

Un ragazzino che correva a capo scoperto lo urtò senza scusarsi. Due giovani a braccetto camminavano sotto lo stesso ombrello…L’autobus era pieno di giovani; alcuni lo riconoscevano, altri non si occupavano di lui…Si infilò sotto la volta della Polizia giudiziaria dove regnavano le correnti d’aria, si precipitò verso le scale e allora, immediatamente, ritrovando l’odore sui generis di casa, …si rattristò all’idea che, entro breve tempo, avrebbe smesso di recarvisi ogni mattina.

Così, grosso modo, ha inizio il romanzo di Georges SimenonMaigret et les témoins récalcitrants.

Il romanzo è certamente un poliziesco perché c’è una vittima.

Un uomo è stato ucciso, nel cuore della notte, in casa propria con un colpo di pistola. Ci si aspetta un’inchiesta e la rivelazione del colpevole.

L’inchiesta in effetti ci sarà, ma nel suo svolgersi svelerà al commissario, e a noi lettori, che le vittime possono essere molte ed i colpevoli altrettanti. Soprattutto, scopriremo (nei romanzi con Maigret non si tratta certo di una novità) che il ruolo di vittima e quello di colpevole posso arrivare a confondersi l’un l’altro.

Tutto questo servirà anche a svelare altro.

Maigret e i testimoni recalcitranti

Un romanzo è anche il modo in cui si decide di raccontare una storia.

Vladimir Nabokov raccomanda di non guardare solo alla storia, ma al modo in cui questa viene raccontata. Vale ovviamente per tutta la letteratura, ma vale doppio per questo romanzo di Simenon, Un poliziesco che non riesce ad essere, o non vuole essere, solo un poliziesco.

Colpisce la quantità di dolore, disagio, disperazione, ossessione, che Simenon riesce a raccontare in queste pagine attraverso le vicende di un pugno di personaggi, di un realismo così assoluto da non lasciare nessuna speranza possibile.

E speranza non può esservi, perché, sullo sfondo della vicenda, incombe quel protagonista inesorabile della vita umana che è il tempo.

Il tempo come unità di misura del valore di cose e persone.

Un’indagine fra testimoni reticenti e giovani rampanti.

Il caso di omicidio, così come apparentemente si presenta, potrebbe essere risolto in un lampo. Eppure, Maigret, sente, immediatamente, che qualcosa nell’esposizione dei fatti, così come gli viene presentata, non quadra per nulla.

Una casa padronale sul Quai de la Gare e dietro la casa una fabbrica di biscotti in funzione dal 1817. Una marca di dolciumi un tempo famosa in tutta la Francia ed ora sconosciuta ai più. Una villa un tempo splendida e ora cadente.

In quella vecchia casa signorile un uomo è stato ucciso da un ladro entrato nottetempo per rubare. Lo sconosciuto aggressore, dopo aver scavalcato il muro di cinta, ha utilizzato una scala a pioli per salire al primo piano. Penetrato nella camera della vittima ha tentato il furto, ma, vistosi scoperto, gli ha sparato a bruciapelo al petto fulminandolo.

Poi se n’è andato indisturbato dopo aver rubato il portafoglio del morto.

Questo è quanto vorrebbero far credere i testimoni dell’accaduto. Nessuno ha udito nulla!

Nessuno sembra stupito o disperato o impaurito.

In quella grande casa che ha conosciuto un’epoca di fasti e ormai ridotta quasi in rovina, vivono, sotto lo stesso tetto, più persone: tutte legate profondamente alla vittima.

Dovrebbero apparire sconvolte e addolorate, persino impaurite. Al contrario, il loro comportamento è quantomeno enigmatico.

L’uomo ucciso era vedovo da alcuni anni, con un figlio dodicenne. Aveva un fratello, una cognata, gli anziani genitori. Il ragazzino è a scuola, ora, come ogni giorno ed è ancora ignaro di tutto. I due anziani se ne stanno appartati in un salone deserto e gelido ed evitano ogni contatto con gli investigatori.

Una vecchia governante stizzosa e aggressiva si aggira per la casa sorvegliando i poliziotti. La cognata da risposte vaghe. Solo il fratello del morto si mostra collaborativo, ma non ha sentito nulla ed è convinto che un ladro sia effettivamente penetrato in casa per rubare ed abbia ucciso per non farsi prendere.

È subito evidente a Maigret, ed al fido Janvier, che le cose non possono essere andate in quel modo.

Cresce la malinconia di Maiget.

Quel malinconico giorno di novembre è iniziato male per Maigret e continua sempre peggio. Prima la sottile malinconia per l’improvvisa sensazione di vecchiaia che lo ha colto al mattino, poi la visione di decadenza offerta da quella casa in cui si trova ad indagare.

Il commissario ricorda bene il nome di quella famiglia e della loro azienda. A quei biscotti che si ostinano inutilmente a produrre, sono legati alcuni ricordi della sua infanzia. Ora è tutto sfascio e vecchiume. Quasi si percepisce fisicamente l’agonia della ditta e della dinastia d’imprenditori.

In ultimo, a dimostrare che non c’è limite al peggio, ecco arrivare sulla scena del crimine un giovane procuratore al primo incarico. Uno di quelli appena usciti dalle scuole superiori, privo di esperienza, ma ricco di arrogante superiorità. Uno di quei giovani rampanti che considerano “superato” chi li ha preceduti e mostrano per loro più accondiscendenza che rispetto. Si sentono invincibili ed è il loro tempo per sentirsi tali.

Il giovane magistrato, che era appena stato nominato, gli tese una mano curata e ferma, una mano da giocatore di tennis, e Maigret pensò per l’ennesima volta che una nuova generazione li stava rimpiazzando.

Non mancava che questo! Ora Maigret si trova a rimpiangere il vecchio giudice Comélieu, suo nemico giurato, anch’egli ormai in pensione e fuori gioco.

L’arrivo sulla scena del giovane giudice istruttore, irrita profondamente il commissario e trasforma quel senso vago di malinconia in un desiderio di rivendicazione della propria professionalità.

Quell’Angelot, così arzillo, così vivace, era fresco di studi. O era un tipo eccezionale, uno di quelli che si contano sulle dita di una mano per ogni generazione o era un raccomandato da gente potente, senza la quale invece di essere nominato a Parigi sarebbe rimasto a stagnare per anni in qualche tribunale di provincia.

Pur non entrando in conflitto con il magistrato, Maigret, procede a modo suo. Dirige l’inchiesta, manovra i suoi uomini sul terreno, ottiene le informazioni che gli servono. Non avrà più contatti con i testimoni recalcitranti. Le sue squadre d’ispettori sono sguinzagliate per Parigi: troveranno altri testimoni più disposti a collaborare e i fatti, quelli reali, avranno in fine il giusto riscontro.

Lui stesso si incarica degli interrogatori più stringenti e risolutivi, anche penosi. Certo, è costretto a rinunciare al suo ufficio: al faccia a faccia finale davanti alla lampada con il paralume verde.

Il giudice istruttore arroga a se l’ultima mossa: l’interrogatorio finale avverrà a Palazzo di Giustizia, nell’ufficio del magistrato, davanti ad uno stenografo e all’avvocato della persona coinvolta.

Le domande chiave, però, le ha fornite Maigret al giovane inquisitore. Il magistrato stesso, con una certa faccia tosta, gli ha chiesto di farlo.

Il giudice, imbarazzato, tossicchiò, giocherellò con il tagliacarte.

«È più regolare, a questo punto, che faccia io le domande e che lei intervenga solo in caso di necessità…Immagino che questo per lei non sia un inconveniente…Troverei normale, invece, che prima del suo arrivo lei mi indicasse per iscritto i punti sui quali crede utile insistere.»

L’epilogo della vicenda è un colpo di scena, di quelli che in un giallo ti aspetti anche.

Un finale amaro che tale potrebbe anche non essere, se non fosse che l’amarezza è ovunque in questo romanzo. Tutta dietro le pieghe del “modo di raccontare la storia”, e qui torniamo agli insegnamenti di Nabokov.

C’è un tempo per ogni cosa e ogni cosa ha il suo tempo.

In questo romanzo, I testimoni recalcitranti, che Simenon pubblica nel 1959, c’è molto di più di quanto si chieda ad un giallo normalmente.

C’è una domanda sul senso ultimo della vita, alla quale, forse, dare una vera risposta è impossibile.

A dominare è un tema di fondo che con l’indagine in se stessa non centra nulla.

Non è il timore della vecchiaia, con tutto il suo bagaglio di certezze ed incertezze. Potrebbe sembrare, ma non è così.

Semmai è l’obsolescenza: il sentirsi, ad un certo punto, superati, inutili, non più attuali. L’inutilità di un’esperienza che gli altri non riconoscono più come tale. Il tramonto di un prestigio che agli occhi del mondo prestigio più non è. Vale per gli uomini come per le cose, ma le cose esistono in funzione degli uomini che le hanno realizzate.

C’è, forse, una data di scadenza per la nostra vita? Una scadenza che precede la fine stessa dell’esistenza fisica?

È ancora lecito cercare la propria felicità o la propria affermazione, nel momento in cui nessuno ti riconosce più il diritto a quella felicità ed affermazione, solo perché il tuo tempo è trascorso? In questo è il dramma.

Hanno dunque senso tutto il lavoro, la passione, l’impegno, profusi nel corso di una vita, se giunti ad un certo punto, tutto quel lavoro, passione ed impegno diventano inattuali, inaccettabili, fuori luogo?

Il tema è concreto è dunque universale. Ancora più attuale oggi di quanto lo fosse settant’anni or sono.

Oggi in questa società fluida, dove il tempo corre alla velocità dei satelliti ed uomini e cose appaiono immediatamente superati da sempre nuove tecnologie e invenzioni

Il Tempo visto non più come limite naturale di ogni cosa che abbia avuto un inizio e inevitabilmente avrà una fine. Il Tempo come misura della costante ed irreversibile perdita di valore della cosa stessa. In conseguenza di questo limite tutto l’agire umano rischia di perdere significato: anche l’idea che si ha del bene e del male.

Maigret testimone della deriva nichilista del suo tempo.

Né Maigret, né Simenon sembrano porre la questione in termini filosofici. Marcano il dato esistenziale.

Al lettore è consentito però porsi delle domande ed è anche a questo che servono i libri.

Senza la presenza di un Dio o comunque di un’Entità trascendente, l’uomo è destinato ad affannarsi invano: rimangono solo il qui e ora!

Vanità delle vanità, dice Qoèlet.

Vanità delle vanità:  tutto è vanità.

Quale guadagno viene all’uomo

per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?

Una generazione se ne va e un’altra arriva,

ma la terra resta sempre la stessa.

Il sole sorge, il sole tramonta

e si affretta a tornare là dove rinasce.

Il vento va verso sud e piega verso nord.

Gira e va e sui suoi giri ritorna il vento.

Ho considerato l’occupazione che Dio ha dato agli uomini perché vi si affatichino. Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; inoltre ha posto nel loro cuore la durata dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine. Ho capito che per essi non c’è nulla di meglio che godere e procurarsi felicità durante la loro vita; e che un uomo mangi, beva e goda del suo lavoro, anche questo è dono di Dio. Libro di Qohélet o Eclesiaste.

Insomma siamo all’eterno interrogarsi sul senso delle cose terrene.

Simenon, per nostra fortuna, non è un filosofo. Non cerca schemi di interpretazione. Non propone dottrine logiche o metafisiche che siano.

Osserva il dato di fatto e indaga le reazioni umane; indaga i comportamenti del singolo di fronte a questo decadere e disperdersi della propria esperienza esistenziale.

Qohélet. Colui che prende la parola. A cura di Guido Ceronetti

Il tempo e la tragedia umana.

Vedremo, in questo romanzo, l’amarezza e l’orgoglio di un Maigret, prossimo alla pensione, confrontarsi con le nuove generazioni che ne mettono in discussione il valore e l’esperienza.

Vedremo l’ossessione perversa di una dinastia di imprenditori, in lotta con ogni mezzo, per salvare un’azienda ormai fuori dalle leggi economiche del presente.

I Lachaume di Parigi che fanno biscotti dal 1817 e ricordano i Buddenbrooks di Thomas Mann.

Ironia della sorte, a sconfiggere definitivamente quell’antica casata di imprenditori, quasi aristocratici, sarà la figlia di un commerciante di pelli, arricchitosi con la borsa nera durante l’Occupazione.

Vedremo una donna, al limite della giovinezza, inseguire il sogno di un matrimonio e di una famiglia e, per farlo, piegarsi, consapevolmente, al compromesso di accettare per se un uomo senza dignità né morale.

Toccherà a Maigret porla di fronte alla meschina realtà ed infrangerne quel sogno.

Così come toccherà a Maigret arrestare il Canonico: un ladro quarantenne, autentico professionista del furto.

L’uomo, dopo una vita di solitudine, ha scelto infine per moglie una prostituta di vent’anni più giovane. Inseguendo anch’egli un sogno di tardiva felicità. Lei, per legarsi ad un altro, che intuiamo più giovane, lo tradisce e lo vende alla polizia.

Ed è proprio al Canonico che Simenon affida, forse, l’unico messaggio di redenzione possibile:

«È una sgualdrina, con rispetto parlando, eppure non riesco a volergliene…Almeno, ho passato due anni meravigliosi, no?»


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Maigret e i testimoni recalcitranti

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Biscotti amari per Maigret.ultima modifica: 2023-03-25T01:11:14+01:00da albatros-331
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