Il Mediterraneo in barca

Il Mediterraneo in barca

Il mediterraneo in barca. Il Simenon reporter meno noto al pubblico

Il mediterraneo in barca. Il Simenon reporter meno noto al pubblico.

Il Mediterraneo in barca: i reportage insoliti di Simenon.

Un interessante Georges Simenon nella veste di reporter, questa la proposta di Adelphi che nel 2019 ha ristampato questo volume: Il Mediterraneo in barca.

Certo non è il Simenon cui siamo abituati e, sicuramente, non è il miglior Simenon possibile.

Ma rimane un libro da leggere proprio perché ci presenta un “altro” Simenon.

Ottima occasione, per tutti gli appassionati dello scrittore belga padre del commissario Maigret, per approfondire ancora di più la conoscenza di questo autore così prolifico e pieno di sorprese.

Che Simenon sia un prodigioso narratore è a tutti noto. Ma forse non tutti sanno che Simenon, in particolare fra il 1931 e il 1946, è stato un reporter abile e singolare. Singolare perché, lungi dal considerarsi un inviato speciale, i suoi reportage li ha scritti «per sé», per viaggiare, per finanziare la sua curiosità.

Quella curiosità nei confronti dell’uomo che ha scoperto in sé sin da quando, giovanissimo, lavorava alla «Gazette de Liège»: «Ho sempre colto la differenza fra l’uomo vestito e l’uomo nudo» ha dichiarato. «Intendo dire l’uomo com’è davvero, e l’uomo come si mostra in pubblico, e anche come si vede allo specchio». Così, alla vigilia di ogni viaggio, Simenon andava da un amico caporedattore e gli diceva: «La settimana prossima parto. Le interessano dodici articoli?».

Ma proprio perché concepiti in funzione dell’unica attività che gli stesse a cuore, la scrittura – non a caso ha voluto intitolare il volume che li raccoglie «Mes apprentissages» («Il mio apprendistato») -, i suoi pezzi giornalistici non fanno dunque che rivelarci un’altra faccia del Simenon romanziere. Lo dimostra questo resoconto di una crociera compiuta nel Mediterraneo – da Porquerolles alla Tunisia passando dall’Elba, Messina, Siracusa, Malta – a bordo di una goletta: una lunga crociera durante la quale Simenon, che si era ripromesso di capire e descrivere il Mare nostrum, non potrà che confermarsi nella sua vera vocazione, la stessa di Stevenson: raccontare storie.

Il volume contiene in postfazione una nota di Matteo Codignola.

Nato a Genova nel 1960, milanese di adozione, da molti anni Matteo Codignola lavora per Adelphi, come editor e traduttore. Ha tradotto, fra gli altri, testi di Patrick McGrath, Mordecai Richler, Edward Gorey, Patrick Dennis, e John McPhee e curato la nuova edizione italiana delle opere di Ian Fleming. Ha pubblicato Un tentativo di balena (2008, con disegni di Roberto Abbiati), Mordecai (2010) e Vite brevi di tennisti eminenti (2018) con Adelphi e Un tocco di focaccia (2013) con Slow Food Editore. Collabora con Rivista Studio e Undici.

Il Mediterraneo in barca visto dai giornalisti.

Iniziamo con un contributo di  (ilmanifesto.it)

Quanto la scrittura di Simenon sia legata all’acqua dicono le molte storie in cui canali, torrenti, mari e dighe, ma anche solo pioggia incessante, fanghiglia e coltri di neve, hanno ruolo decisivo, non solo paesaggistico, ma compartecipe, corresponsabile. È un «vapore puzzolente di merluzzo», peraltro, il teatro del primo tra i suoi «romans durs», Il passeggero del Polarlys, pubblicato nel 1932 (Adelphi, 2016). Una nave sulla rotta Amburgo-Kirkenes, in mezzo a «brandelli di nebbia». A pochi anni di distanza, nell’estate del 1934, Simenon propone un’altra crociera – la sua questa volta, in acque senza brume, solari e calde come sono quelle del Mare Nostrum – pubblicata a puntate e poi raccolta, con altre, nel voluminoso Mes apprentissages. Le tappe e le bonacce del viaggio sono raccontate in prima persona, in tono affabile, spesso rivolto ai lettori con una confidenza adatta all’agilità della scrittura e al morbido divagare che traduce sulla pagina l’atmosfera della navigazione, gli approdi scelti o casuali, l’intrusione dei ricordi nelle giornate d’attesa, nella dolcezza del caldo e dell’inerzia.

Il Mediterraneo in barca (traduzione di Giuseppe Girimonti Greco e Maria Laura Vanorio, con una nota di Matteo Codignola, Adelphi «Piccola Biblioteca», pp. 189, € 16,00) inaugura la pubblicazione dei reportage di Simenon, completamento dell’opera integrale pubblicata dalla casa editrice di Calasso, e fruttifera pista per scoprire – tracciare con estrema precisione – i bottini preparatòri ai suoi romanzi. Bottini di esperienze, di volti, di moli affollati e di quartieri equivoci, di promontori e golfi. A render chiaro quanto Simenon lavorasse sempre, anche nelle lunghe crociere, sono alcuni splendidi scatti. Formato Leica, bianco e nero, inquadratura sempre rivelatoria. Traduzione visiva della curiosità e della perspicacia con cui Simenon osservava e catturava la realtà: attenzione completa – sguardo d’insieme e dettaglio minuto –, che i lettori dei suoi romanzi gli conoscono. Ottima, dunque, per chi voglia indagare con gli occhi di Simenon e recuperare i palinsesti visivi della sua narrativa, la scelta editoriale di inserire, senza didascalie, immagini non amatoriali – ha ben ragione Codignola –, ma «scattate con un mestiere sorprendentemente solido», un po’ «rubato» al fotografo ceco Hans Oplatka che nel ’31 l’aveva accompagnato in un reportage sui canali francesi.
Il Mediterraneo in barca ha come apparente stimolo alla scrittura il desiderio di dare «una definizione» del nostro mare, definizione raggiungibile, forse, solo per accumulo. È «piccolissimo», è «un córso» simile «alla strada principale di una città di provincia». È solcato da navi di ferraglia, da mercanti, divi del cinema, banchieri americani, ministri egiziani, emigranti e studenti. È l’avvicendarsi di «isolette scoscese», di equipaggi «sordidi ed eroici», di «turisti sballottati». È un «campo di golfi»; è l’acqua così limpida che se ne vedono pesci e alghe a dieci metri di profondità, «uno spettacolo che, i primi tempi, mi dava alla testa» – ebrezza visiva che tornerà quasi vent’anni dopo, in un romanzo del ’50, Le persiane verdi, il cui protagonista contempla dalla barca i pesci nella vegetazione che ondeggia su fondali lontani, quasi «mucche al pascolo».
La crociera sulla goletta, nave dalle vele quadre, è l’occasione per raccontarsi al lavoro – «nudo» e sudato in cabina, o esiliato, dai marinai che ridipingono la barca, in una casa incompleta e di fortuna all’Elba, ricordo del romanzo scritto nella stiva di una nave incagliata in un porto olandese, con piedi ammollo e «colonie di ratti». Ma è soprattutto l’occasione per riflettere tra stili di vita e classi sociali, e cogliere povertà, asini, pesca di vermi da esca ma totale assenza di discorsi sulla «crisi» a fronte di ambizioni agricole aziendali nel Nord-Europa e di protervia economico-culturale negli Stati Uniti. Non vuole «esprimere un’opinione», né scegliere tra America e Mediterraneo, eppure non serve leggere tra le righe, quando oppone i nuovissimi «Partenoni» di Washington ai quattro o cinque strati di civiltà di Siracusa. O l’imperialismo inglese che ha circondato Malta di cannoni e reso triste anche l’amore, alla disinvolta, generosa e aristocratica libertà dei «nomadi del mare».

Ed ecco adesso cosa ne pensa Gaia Montanaro (ilfoglio.it).

È un insieme di volti senza nome questa raccolta di articoli che Simenon scrisse per il settimanale Marianne fra il giugno e il settembre del 1934. Sono i volti degli abitanti del Mediterraneo, degli indigeni incontrati nei porti in cui la nave su cui si era imbarcato aveva attraccato, da Porquerolles (meta prediletta dello scrittore) alla Tunisia, all’Elba, Malta e la Sicilia. Sono i volti degli scatti fotografici che Simenon realizza a corredo del suo reportage giornalistico e che testimoniano le tante storie che il grande scrittore francese ha lambito durante la sua navigazione. La domanda che raccorda i vari articoli – e che in qualche modo funge da fil rouge di tutta la raccolta – è cosa sia il Mediterraneo. Cosa, insieme a una determinazione geografica, connoti questo mare e – per estensione – chi su questo mare si affaccia.

 

Trasportato dal vento, che detta i tempi della navigazione, Simenon incappa in storie al limite della leggenda, dove ci sono donne a cui è stato letteralmente strappato via il cuore e uomini che si gingillano al sole di Hammamet. E poi ci sono le storie di emigrazione, di famiglie numerosissime i cui padri di famiglia cercano fortuna all’estero. Per cercare di vivere meglio, non solo per qualche pesce in più e per un’abitazione meno precaria. “Il Mediterraneo, quando emigra, porta con sé i suoi odori, le sue spezie, le sue chitarre e una schiera di cugini…”.

Simenon racconta le piaghe della prostituzione nei porti mediorientali e di Atene, la doppia natura di Malta “ombelico del Mediterraneo” ma con i cannoni sempre puntati nei quattro punti cardinali, la vita semplice dei pescatori dell’Elba e gli sfarzi – per lo più anglofoni – delle località di mare della Costa Azzurra. Annota usi e costumi che sono incastonati in un tempo e in un luogo preciso ma da scrittore/reporter ha la capacità di raccontare uno spirito, di cogliere ciò che sta dietro l’abito nero delle donne messinesi o le mani nodose e arse dal sole dei pescatori dell’isola d’Elba.

In questa sorta di lungo diario Simenon restituisce quell’attaccamento all’essenziale, alla vita semplice e scandita da rituali precisi e sempre uguali che la rende così desiderabile e piena di pace agli occhi dello scrittore. “Ci sono persone che vivono senza sapere di avere dei polmoni, che coltivano i loro campi senza conoscere le borse di Londra o di New York, che comprano asini senza preoccuparsi del loro rendimento in cavalli-vapore, che fabbricano vasi come al tempo dei greci, senza sospettare di star creando dei capolavori, e che mettono al mondo figli senza chiedere al governo se non sia il caso di farsi sterilizzare. Tutte queste cose forse un giorno gliele insegneremo…”. Anche questo è il Mediterraneo nello sguardo di uno scrittore.

“Il Mediterraneo è tante di quelle cose che, quest’oggi, mi sono permesso di filosofeggiare, ma vi prometto che d’ora in poi non mi dimenticherò mai più che il mio mestiere, come diceva Stevenson, è quello di “raccontatore di storie”.

Ne scrive anche Riccardo De Palo (ilmessaggero.it).

Il Mare Nostrum incantò Simenon per la «saggezza involontaria, ereditata da remoti progenitori» dei suoi abitanti, abituati da secoli ad affrontare con lo stesso serafico atteggiamento gli anni di penuria e quelli di abbondanza, senza alcuna traccia di rassegnazione. Rapito da un viaggio in goletta con un equipaggio di marinai italiani, lo scrittore di Liegi vide negli abitanti del Mediterraneo una stirpe composita di aristocratici; e il suo Il Mediterraneo in barca (appena pubblicato da Adelphi) racconta, con lo stesso entusiasmo onnivoro di Predrag Matvejevic, la grandezza di un mare che evoca antichi splendori, connessioni nascoste, lampi di desiderio. In articoli raccolti in volume come un lungo diario, scritti con ispirazione in una casa cadente dell’Elba o nel porto di Hammamet, l’autore abbandona le atmosfere noir del suo Maigret, con la pipa e il bicchiere di calvados in mano, per sviscerare i segreti della navigazione, raccontare gli aneddoti dei lupi di mare, alla maniera di un nobile d’altri tempi, alle prese con il Grand Tour.

Il protagonista di questo libro dal ritmo sincopato è il vento, che a seconda della sua forza permette di veleggiare, oppure di regalarsi soste forzate e improvvise. Il reportage di viaggio del 1934, passando per Tunisi, Malta, Messina, Siracusa, è corredato dalle fotografie dello stesso Simenon. «La settimana prossima parto. Le interessano dodici articoli?», diceva lo scrittore, nella veste di reporter d’eccezione, a un amico giornalista.

E per concludere, un contributo di Benedetta Palmieri (napoliclick), che bene coglie alcuni punti e senza peli sulla lingua.

Meglio che lo dica subito, per me innanzitutto, visto che la cosa mi disorienta un po’: Il Mediterraneo in barca (Adelphi, pagg. 189, euro 16) non è sicuramente la cosa migliore letta di Georges Simenon.

Lo so, l’ho presa alla larga, ci ho girato intorno: premettere un annuncio ingrato e uscirmene con la banalità che non è il suo libro migliore non torna. Se fosse semplicemente così, poco male: non tutti i libri di un autore amato devono essere per noi allo stesso livello. E allora, arriviamo al dunque: Il Mediterraneo in barca non è in assoluto un grandissimo libro; e me ne dispiace, perché amo Simenon e perché il tema è straordinario: quel Mediterraneo il cui nome già da solo evoca cultura, afrori, storia, storie millenarie.

E invece, duole dirlo, qui – in questo che nacque come reportage giornalistico, prodotto mentre navigava appunto per il nostro mare, nel 1934 – tutto questo si avverte poco, si mostra a sprazzi, in maniera accennata. C’è di più: lo sguardo di Simenon – e la cosa stupisce davvero – è qui ingenuo, forse addirittura pigro.

Persino la scrittura sembra meno incisiva, meno accattivante, sembra non avere e non produrre quelle atmosfere che gli sono solite, non impregnare le pagine del proprio stile.

Perché parlarne, allora? Perché Simenon è Simenon, e perché i gusti sono roba assai personale e non necessariamente condivisa.

Ma anche perché alcune sollecitazioni interessanti ci sono.

La nota conclusiva a firma di Matteo Codignola richiama l’attenzione soprattutto (direi non a caso) sulle immagini che integrano la pubblicazione, scattate dallo stesso Simenon, che era fotografo più che amatoriale o appassionato. E sempre qui si svela una di quelle curiosità (condita di aneddoti) che di un artista appassionano sempre: la partecipazione dello scrittore alla scelta delle proprie copertine, per alcune delle quali indicò i fotografi, alcune delle quali curò in prima persona.

Ma ancora.

Sebbene spesso solo accennati, come lamentavo al principio, non è che i richiami suggestivi manchino del tutto. E anzi, restituiscono scenari che – soprattutto se li si è vissuti – affiorano pure attraverso i sensi.

Così per quello stato di sospensione che certe lontananze o certe attese procurano, quando si è in potere del mare, del vento o della sua mancanza. Quando il trovarsi rintanati su un’isola o su una barca rende certe faccende del mondo, certi quesiti (a Simenon, mentre era intento a veleggiare, fu chiesto se la cultura latina fosse in declino) totalmente privi di significato, come se arrivassero da un universo lontano, popolato da inconsapevoli.

O così per quei passaggi che rendono visibili paesaggi succulenti o pietrosi, il meraviglioso disordine di certa natura più lasciata vivere che coltivata.

Infine, durante la lettura, che avveniva nei giorni dell’affaire Open Arms, mi avevano colpito alcune citazioni della Bibbia. Simenon – che dalla chiesa cattolica si era allontanato già nell’adolescenza – se ne servì per definire gli spostamenti umani nel bacino del Mediterraneo come pratica naturale, accogliente, comprensiva.

Riporto solo un breve passo: “Quanto a me, preferisco rileggere la Bibbia. Non è forse vero che lì si parla già delle sette vacche grasse e delle sette vacche magre? E che già allora intere popolazioni vagavano intorno a questo stesso mare di un azzurro intenso alla ricerca non di terre da conquistare, ma di cibo?”.

Buona lettura a coloro che decidessero di intraprendere questo viaggio in goletta accanto ad uno straordinario scrittore che vale sempre e comunque la pena di indagare più a fondo.

Il Mediterraneo in barca


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Il Mediterraneo in barcaultima modifica: 2020-09-06T02:19:19+02:00da albatros-331
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