Maigret e il romanzo giallo

Maigret e il romanzo giallo.

il commissario maigret

La tête d’un homme 1933 regia di Julien Duvivier

Maigret e il romanzo giallo. Il personaggio del commissario Maigret è diventato, ormai da tempo, il simbolo stesso di un certo tipo di letteratura poliziesca; quel genere letterario che in Italia, grazie alla Mondadori, siamo abituati a definire “romanzo giallo“.

Un giallo, quello che ha come protagonista Maigret, dove i risvolti umani e psicologici dei personaggi e gli ambienti in cui essi si muovono ed operano, hanno il sopravvento sulle dinamiche strettamente poliziesche dell’indagine o sull’enigma misterioso che nasconde il nome del colpevole.

Se questo è potuto accadere, almeno in Europa, lo dobbiamo alla penna, alla fantasia e all’abilità stilistica di uno scrittore belga di lingua francese di nome Georges Simenon.

Uno scrittore che, ancora giovanissimo, ha saputo cogliere e tradurre in opera letteraria quello spirito del suo tempo che, spesso con l’aggiunta di un qualche aggettivo, è stato definito “realismo”

Georges Simenon nasce a Liegi il 13 febbraio del 1903.

Nel gennaio del 1919 non ha ancora compiuto sedici anni ed è assunto come redattore alla Gazette de Liege.

Il 28 novembre 1921 muore suo padre, Desiré Simenon.

L’11 dicembre del 1922 l’uomo destinato a diventare uno dei più letti autori del ‘900 arriva a Parigi.

Queste sono, naturalmente, solo alcune delle date essenziali nella straordinaria vita dello scrittore. Rappresentano alcuni dei primi “passaggi” attraverso i quali la vita di Simenon si avvia verso un successo letterario tanto clamoroso e incredibile da farne un “caso” per molti appassionati.

Maigret e il romanzo giallo.

Il giovane scrittore belga, quando giunge nella capitale francese, insegue un suo progetto e forse nemmeno si rende conto che, di lì a pochi anni, contribuirà, con le sue opere, a rivoluzionare un genere letterario, quello del romanzo poliziesco, già all’epoca assai fortunato e prolifico, ma destinato a divenire emblematico di quella letteratura di massa caratteristica del secolo breve. Cerca un suo spazio, Simenon, e lo trova alla grande.

È l’estate del 1929. Da quando si è trasferito a Parigi dalla natia Liegi, il giovane scrittore ha collaborato con una quindicina di testate giornalistiche. Ha pubblicando, con cadenza settimanale, quasi ottocento tra racconti e novelle, e, nello stesso tempo, ha dato alle stampe circa centosettanta tra romanzi e racconti, per i tipi di varie case editrici. Nessuna di queste opere porta il suo vero nome. Tutte sono firmate con svariati pseudonimi.

Nonostante la giovane età non è certo l’esperienza a fargli difetto.

Evidentemente in quell’estate si sente pronto per affrontare il grande pubblico con opere che portino il suo nome.

Il romanzo giallo gode di larga diffusione tra un pubblico, assolutamente trasversale, ma anche, oltremodo, critico ed esigente. La concorrenza è forte e molte penne, spesso di non scarso valore, vi si cimentano volentieri.

La scelta operata da Simenon di utilizzare come trampolino di lancio il genere poliziesco non è certo casuale, ma non la si deve considerare un ripiego o una scorciatoia. Quella che lui stesso definirà in seguito “letteratura alimentare”, le centinaia di racconti e romanzi pubblicati fino a quel momento, se la vuole lasciare alle spalle.

Il romanzo giallo è un genere che, se ben maneggiato, consente di arrivare al grande pubblico con delle opere di qualità anche letteraria e lo scrittore belga considera questo un passaggio obbligato per affinare ulteriormente le sue doti, farsi conoscere da un pubblico vasto e, in seguito, affrontare opere svincolate da limitazioni di genere.

Dopo alcuni esperimenti che non lo soddisfano a pieno, ecco che arriva ad identificare il personaggio, intorno al quale strutturare una serie di romanzi che ritiene tanto innovativi e significativi da meritare l’onore di portare in copertina il suo nome autentico: Georges Simenon.

Maigret e il romanzo giallo.

Scrive il romanzo Pietr le Letton, il primo di un ciclo di opere che ha al centro la figura di un investigatore del tutto inedito: il commissario divisionale Jules Maigret.

Questo ciclo di romanzi, saranno alla fine 76, con in più 27 racconti, costituisce un’autentica rivoluzione per il romanzo poliziesco. Vicende plausibili, personaggi credibili, concreti e profondamente umani. I drammi e i delitti sono quelli che ogni giorno appaiono nella cronaca dei quotidiani. Le passioni e i moventi sono gli stessi che potrebbero travolgere ognuno di noi. Anche gli ambienti sono veritieri e riconoscibili da chiunque. Città e villaggi, strade e piazze, ristoranti e bistrot, dove vive un’umanità popolare o piccolo borghese. 

E a risolvere i delitti ecco l’investigatore, ma un investigatore del tutto nuovo!

Anche Il commissario Maigret è un figlio del popolo. Nato in campagna, figlio di un onesto amministratore. Non un giovane bellimbusto sciupa femmine, non un aristocratico eccentrico e sofisticato e nemmeno un solitario asociale in lotta con il mondo. No! Un funzionario statale, un poliziotto. Motore di un’azione metodica e controllata e, allo stesso tempo, rotella di un ingranaggio infinitamente più grande di lui che, se pure gli pone dei limiti, contribuisce anche a renderlo invincibile.

Maigret, è considerato da molti (io ho una mia idea leggermente diversa, ma ne parleremo in un altro post), l’archetipo del piccolo borghese coscienzioso, quello che svolge il proprio lavoro nel modo migliore possibile. Quello che va ogni mattina a lavorare in tram e, immancabilmente, alle nove si presenta al suo superiore con sotto braccio le cartelle dei casi in corso. Uno dei tanti che, tutti insieme, reggono le sorti del mondo.

La sua eccezionalità non risiede nella forza fisica o nell’acume particolare. Risiede nel perfetto equilibrio tra l’individuo e l’azione sociale che è chiamato a svolgere. Si dedica al suo mestiere senza illusioni né frustrazioni. Non è animato da spirito di Crociata o dal disprezzo per il genere umano. Perfettamente conscio che il bene e il male quasi sempre coesistono, negli uomini e nelle loro intenzioni. È il senso di responsabilità che anima la sua azione. Ed è, ancora, la capacità di assumersi le proprie responsabilità, l’unico metro di giudizio morale che egli ha degli uomini.

Non giudica, vuole capire. Non per morbosa curiosità, ma perché il giudizio manicheo non è nella sua natura, non gli appartiene. Egli sa che solo capendo ci si avvicina alla verità.

Il giudizio frettoloso e dogmatico lo lascia ai suoi nemici, quelli veri, quelli che proprio non sopporta. Coloro che, in virtù di una presunta superiorità sociale e morale, sfuggono alle proprie responsabilità verso gli altri. Sono i grandi borghesi, la cosiddetta alta borghesia. Siano essi colpevoli di un delitto, semplici testimoni o, addirittura, gente che sta dalla sua stessa parte della barricata: giudici, magistrati o politici. Gente che ha eretto intorno a sé ed al suo mondo una barriera fatta di convenzioni valide esclusivamente per loro stessi. Tanto da piegare, o cercare di piegare, anche la Legge, ai propri interessi e tornaconti.

È nel confronto con queste persone che il commissario Maigret assume gli atteggiamenti più duri, o al caso, i più distaccati quando non può fare altrimenti. Al contrario il malvivente abituale o l’assassino occasionale, quello travolto dal destino o dalla passione, trova in Maigret la massima comprensione. Il più delle volte, il commissario, dovrà, alla fine dell’inchiesta, condurre il colpevole al carcere, ma mai senza aver prima compreso a pieno le ragioni del dramma che hanno condotto al baratro, un essere umano che egli riconosce come eguale. E mai con soddisfazione.

Maigret e il romanzo giallo.

Il romanzo, anche quello d’evasione come il giallo, diventa sempre più realista e il contributo di Simenon non si limita ai contenuti, ma investe anche lo stile stesso della scrittura.

La semplicità, apparente, della sua prosa. L’assoluta neutralità di quel suo modo di scrivere che rifiuta (o sembra rifiutare) i doppi sensi e le molteplici interpretazioni. Il voluto manierismo che evoca suggestioni semplici, immediate e universalmente comprensibili. Un linguaggio più evocativo che descrittivo. Si potrebbe definirlo “cinematografico”, che del Cinema ricorda le tecniche di sceneggiatura con le quali ha in comune l’essenzialità.

Georges Simenon non è il solo ad indirizzarsi nella direzione del realismo: è lo spirito del suo tempo che influenza gli autentici artisti che lo sanno cogliere.

Non è un caso se, dall’altra parte dell’Atlantico e in quello stesso 1929, vede la luce anche il mitico romanzo di Dashiell Hammett, The Maltese Falcon”, che presenta al pubblico la figura dell’investigatore Sam Spade, anch’essa destinata ad influenzare largamente tutta la futura letteratura poliziesca.

dashiell-hammett

Dashiell Hammett

Il poliziotto francese e l’investigatore americano sono molto diversi fra loro, così come lo sono i luoghi in cui si muovono, ma il realismo di personaggi e ambienti e l’essenzialità del linguaggio accomunano entrambi i personaggi e i loro autori.

L’accostamento tra il belga Simenon e lo statunitense Hammet ci porta direttamente ad alcune considerazioni su un’altro aspetto decisamente innovativo nei romanzi gialli dei due autori. Aspetto che in Maigret diventa addirittura fondamentale. L’indagine psicologica.

Maigret e il romanzo giallo.

Proprio in quell’anno 1929, appare sulla rivista americana  The Hound and Hornl’articolo Guessing  (Indovinando) di  Charles Sanders Peirce, un matematico e semiologo americano, inventore della moderna concezione di termini come: pragmatismo ed abduzione e teorico di quell’atteggiamento di indagine scientifica detto “fallibilismo”

Nell’articolo citato, Peirce, racconta un aneddoto della sua vita, riguardante un viaggio in battello al termine del quale gli vennero rubati orologio e soprabito. Egli racconta l’indagine che svolse per riuscire a smascherare il colpevole e, attraverso questo racconto, introduce due due temi fondamentali alla base delle sue analisi: la teoria dell’abduzione e quella del “lume naturale

Non sono in grado di affermare se e quanto Simenon abbia frequentato i testi di Peirce e meno che meno il citato articolo del 1929. Il filosofo americano era morto nel 1914 e, in vita, non vide mai pubblicati i suoi testi se non in alcune riviste specializzate. Le prime edizioni importanti di suoi studi sono, però, proprio del 1930.

Risultano, a mio avviso, abbastanza rivelatori alcuni dettagli ricavati dal romanzo di Simenon Le Chien jaune: un Maigret del marzo 1931.

Nel romanzo in questione il commissario Maigret arriva sul luogo del delitto e svolge un’indagine accurata e minuziosa tutta basata sulla ricerca di precisi riscontri capaci di confermare o smentire teorie che potrebbero portare fuori strada se assunte di getto come verità. Non si stanca di ripetere al giovane brigadiere Leroy:

“Piano! Piano, ragazzo mio! Niente conclusioni affrettate! E soprattutto niente deduzioni!…”

E, cercando di spiegargli il suo metodo d’indagine:

“Arrivando qui , mi sono trovato davanti una faccia che mi è piaciuta e non l’ho più mollata…”

Ecco l’abduzione e il lume naturale che dell’abduzione è il punto di partenza: la predisposizione umana al ragionamento e all’indagine.

 

Tutto questo per arrivare a dire che è finito il tempo, anche nel romanzo d’evasione, dove il protagonista affascinava il pubblico dei lettori con il suo sterminato bagaglio di conoscenza assoluta e definitiva da cui scaturivano le sue sensazionali deduzioni altrettanto assolute e definitive.

Forse dopo le terribili esperienze della Grande Guerra sono rimaste ben poche verità assolute. Nel cuore e nella mente dell’uomo della strada, come dello scienziato e nel grande scrittore.

Ecco dunque prendere forma personaggi forti di carattere, ma limitati nella loro capacità di penetrare la verità dei fatti umani. Per arrivare a capire devono indagare a fondo, sbagliare, anche, ed essere pronti ad ammetterlo. Soprattutto non giudicare mai dalle apparenze.

Proprio il senso profondo dell’atteggiamento investigativo che, nei romanzi del commissario francese, è detto  “metodo Maigret”.

Maigret e il romanzo giallo.

Maigret è convinto, e Simenon immagino con lui, che esistano solo due categorie di uomini che possono arrivare ad uccidere senza una precisa ragione: i pazzi che non sanno quello che fanno e i sicari che lo hanno scelto come mestiere.

Tutti gli altri, onesti o delinquenti che siano, se uccidono devono avere una ragione precisa. E la ragione è spesso complessa, anche se il più delle volte si riduce ad una sola: la paura. Paura di perdere qualcosa o qualcuno. Perdere il denaro, l’amore, la libertà, l’onore, il rispetto degli altri.

Messo alle strette chiunque può arrivare ad uccidere, ma il limite di rottura e il modo della reazione sono diversi per ciascun individuo.

Scoprire il colpevole di un omicidio significa capire chi, tra i sospetti, una volta raggiunto quel limite avrebbe utilizzato quel modo.

Non è certo analizzando soltanto le prove materiali che si giunge a tali conclusioni. Queste servono a rafforzare e confermare quello che solo la conoscenza profonda dell’animo umano può rivelare.

Ecco quindi Maigret immergersi nell’ambiente in cui è maturato il delitto. Eccolo seguire passo passo quello tra i sospettati che egli percepisce come il più probabile tra i possibili colpevoli. Entrare nella sua pelle! Oppure in quella della vittima. Perché anche arrivando a conoscere profondamente la vittima si può giungere ad identificare il probabile assassino. I riscontri materiali e la confessione liberatoria faranno il resto. Ecco il poliziotto trasformarsi in analista, vivere la vita degli altri, scandagliarne i desideri, le passioni, i timori, le manie.

 

“Il subconscio mormora incessantemente, ed è ascoltando questi mormorii che si ascolta la verità.”-Gaston Bachelerd

 

Siamo lontani anni luce dalle deduzioni formidabili di Sherlock Holmes e di Poirot. Quello di Maigret non è il metodo dell’analisi scientifica, ma nemmeno quello della sciarada. La sua è un’indagine finemente psicologica che nasce da un’osservazione quasi istintiva e si completa in un percorso che ricorda quello dell’analisi psicoterapeutica.

Dopo il sanguinoso dramma della guerra e l’euforia degli Anni Ruggenti, la terza decade del ‘900 si avvia verso un periodo di speranze esaltanti e dolorose delusioni. Un’incertezza esistenziale diffusa ben rappresentata dai dubbi del poliziotto creato da Simenon, che gli fanno diffidare delle apparenze troppo evidenti e scontate.

L’essenza dell’uomo è ben più complessa.

Con i romanzi del ciclo Maigret, Simenon, va incontro alla spirito del suo tempo, semplicemente perché egli è un uomo del suo tempo.

Naturalmente la narrazione rimane strettamente legata agli schemi di un genere, quello del policier. C’è il delitto, l’indagine, la scoperta del colpevole. Sono testi di evasione destinati a grande pubblico e non certo trattati di filosofia o psicologia. Ma lo spirito delle opere è del tutto nuovo. Gli ambienti sono estremamente realistici, i delitti lo sono altrettanto. Un realismo che sconfina quasi nella banalità. L’apparente banalità del quotidiano. Qualunque sia la collocazione sociale dei protagonisti, quelli che emergono sono i tratti profondamente umani di persone i cui atti sono diversi e complessi. Dove i moventi possono essere bassi e volgari così come generosi o, semplicemente, stupidi.

È giudizio comune e condiviso quello di ritenere che Simenon, con la sua letteratura, abbia indagato “l’homme nu“: l’uomo nudo.

 

“Descendre, spirale après spirale, l’escalier de l’être.” – Gaston Bachelerd

 

Io credo che questo straordinario interprete del ‘900 sia andato oltre il solo indagare. Credo che proprio “all’uomo nudo” egli abbia voluto rivolgersi. In questo è soprattutto la grande novità della sua produzione; quella poliziesca e gialla prima, quella più complessa dei “romans-dur” poi.

Tutti i libri di Simenon, le biografie e gli studi


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Maigret e il romanzo gialloultima modifica: 2018-02-22T11:30:24+01:00da albatros-331
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