Maigret e la madre del dentista

Un brutto titolo per un Maigret.

Maigret e il dentista - Foto di Laura Stanley da Pexels

Maigret e il dentista – Foto di Laura Stanley da Pexels.

Maigret, il dentista e la madre del dentista.

Il romanzo su cui oggi voglio avviare una riflessione è un Maigret del 1951, uno dei cosiddetti romanzi americani di Georges Simenon. Viene realizzato dallo scrittore belga nel maggio di quell’anno, in appena otto giorni di lavoro. Simenon, ora, vive nel Connecticut, a Lakeville, nella tenuta di Shadow Roch Farm: l’ultima delle sue dimore americane.

Per noi italiani il titolo del romanzo è Maigret e la Stangona, nell’edizione Adelphi; era Maigret e la Spilungona, in quella più datata, di Mondadori. Per i francesi è: Maigret et la Grande Perche.

Io lo avrei intitolato Maigret et le dentiste, ma solo per evitare a les Ritals l’antipatica necessità di tradurre utilizzando termini come Stangona e Spilungona, due parole che proprio non mi piacciono.

Poco male. Del resto tradurre letteralmente, “Maigret e la Gran Pertica”, avrebbe forse confuso il lettore facendogli immaginare vicende di agricoltura o giardinaggio.

Simenon trasforma il banale in originale.

La storia narrata in questa inchiesta di Maigret merita di essere presa in considerazione, perché dimostra, ancora una volta, la grande originalità con cui Simenon riesce ad affrontare anche la storia, in apparenza, più banale.

Si può immaginare una storia più banale di quella dove un marito uccide la moglie? Credo proprio di no.

Per poterne trarre una vicenda assolutamente originale ci voleva la penna e la fantasia di un Simenon.

E Simenon originale lo è, fin dall’inizio della narrazione.

Cosa ci si aspetta normalmente quando un marito ammazza la moglie e ne fa scomparire il corpo?

È presto detto: dopo un tempo più o meno lungo, genitori, amici o parenti della vittima denunciano la sua scomparsa alla polizia.

Troppo semplice! Banale addirittura.

In questo romanzo vediamo che ha denunciare la scomparsa della vittima è una persona del tutto estranea alla vittima stessa e, per di più, la persona più inaffidabile e meno degna di credibilità che possa esistere, almeno per un poliziotto: una prostituta moglie d’un ladro.

Sul modulo compilato che l’usciere consegnò a Maigret c’era scritto: «Ernestine Micou in Jussiame, detta la Stangona, da lei arrestata diciassette anni fa in rue de la Lune, e che per farla incavolare si era messa tutta nuda, sollecita l’onore di parlarle al più presto di una questione della massima importanza».

E cosa viene a raccontare di tanto importante questo fior di donna al Capo della Squadra omicidi di Parigi?

Molto semplice: il marito di lei, scassinatore professionista, nel corso di una delle sue imprese, ha intravisto, nella stanza dove si accingeva a svuotare la cassaforte, il cadavere di una donna. Colto dal panico si è dato alla fuga ed ora è latitante. Nemmeno la donna sa dove si trovi. Ha ricevuto una telefonata dal marito nel cuore della notte. Poche parole per riassumere gli eventi ed avvisare che non sarebbe tornato finché le acque non si fossero calmate.

La donna è molto preoccupata. Lo è diventata anche di più vedendo che nessun giornale o emittente radiofonica forniva la notizia di un omicidio avvenuto quella notte. Intuendo un dramma e temendo che il marito, noto per la proverbiale sfortuna, venga accusato d’omicidio, la Stangona decide di rivolgersi all’unico poliziotto di cui si fidi: lo stesso che l’arrestò anni prima. L’unico che le ha dimostrato abbastanza umanità da farle sperare d’essere creduta.

Maigret le crede. Contro ogni evidenza o ragionevole dubbio. Le crede anche di fronte allo stupore di uno scorbutico, ma sostanzialmente onesto dentista, e a quello della candida ed ascetica madre di lui. Negano d’aver subito un furto, lo negano in modo risoluto.

Maigret chiede al dentista notizie della moglie. È partita, rispondono madre e figlio all’unisono. Partita proprio il giorno prima, diretta verso la natia Olanda.; forse se n’è andata per sempre. Una donna di mezza età, cagionevole di salute, benestante, sola senza più parenti. Dopo due anni e mezzo di matrimonio ha ceduto alla nostalgia della sua terra ed è partita, così, in piena notte, carica di valige, su di un taxi che nessuno riuscirà più a ritrovare.

Non male come inizio!

L’idea del ladro che, inavvertitamente, scopre qualcosa di molto grave commesso dalle sue vittime, è originale e coinvolgente. Lo scrittore britannico Frederick Forsyth utilizza un’apertura simile, nel 1984, per introdurre la vicenda di quello che è sicuramente uno dei suoi più noti romanzi: The Fourth Protocol (Il quarto protocollo).

Maigret non ha prove, ma è deciso ad indagare.

L’inchiesta che segue è, senza ombra di dubbio, una vera indagine poliziesca. Gli investigatori non sembrano avere molti appigli cui ancorare un’accusa di omicidio, contro il dentista e sua madre. Alcuni indizi, qualche testimonianza, ma nulla di determinante.

Del cadavere non vi è nemmeno l’ombra. L’unico testimone oculare, per essere efficacie, dovrebbe accusare se stesso dei reati di effrazione e tentato furto. Con anche il rischio di vedersi appioppare l’accusa per molti altri lavoretti da lui eseguiti negli anni precedenti.

Questo nel migliore dei casi. C’è il rischio che l’accusa di omicidio venga rivolta contro lui stesso.

È abbastanza evidente che Alfred il Triste non ne abbia nessuna voglia e si tenga nascosto per bene. Sembra essere il delitto perfetto.

Un Maigret determinato come mai.

E Maigret? Il commissario si muove con un’insolita determinazione. Anzi! Minori sono le certezze di cui dispone, maggiore appare la sua volontà di portare fino alla fine l’inchiesta e ottenere il successo.

Presto la lotta fra il commissario ed il pachidermico dentista diviene una questione personale. Una sfida tra due intelligenze e due caratteri risoluti.

Alla determinazione di Maigret, Guillaume Serre, il dentista, oppone una chiusura assoluta. Aggressivo nei modi, sprezzante nell’atteggiamento. Molto prima che il commissario formuli le sue accuse il medico assume l’atteggiamento di colui che viene importunato senza ragione nel proprio domicilio.

Al contrario del figlio, l’anziana madre, si mostra estremamente collaborativa. Nega ogni accusa, trova una spiegazione per ogni fatto all’apparenza insolito o incongruente. Blandisce il commissario, difende il figlio, scusandone i modi sgarbati e aggressivi.

Questo il clima in cui Maigret conduce l’inchiesta.

Un’inchiesta che, per il nostro commissario, profuma di calvados e, soprattutto, di Pernod!

Il dentista, al contrario di Maigret, non beve. Solo un calice di vino annacquato durante i pasti! Così almeno crede sua madre. In realtà il dottore approfitta dei pochi momenti che trascorre fuori casa, durante la quotidiana passeggiata nel quartiere, per gustarsi due bicchieri di vino rosso, nel vicino bistrot, di nascosto dalla madre.

Ecco il grimaldello che permetterà ad un cocciuto Maigret di venire a capo della situazione: il rapporto malato tra madre e figlio, di cui presto il commissario intuisce l’esistenza, si rivela la chiave per far crollare il castello di menzogne bene orchestrate dai due.

I leggendari interrogatori di Maigret.

L’epilogo della vicenda ha un il suo colpo di scena, come nella migliore tradizione poliziesca, ma la via che conduce Maigret alla verità è tortuosa e passa attraverso l’abisso dell’animo umano.

In molti dei romanzi della saga maigretiana si fa riferimento ai leggendari interrogatori notturni che il commissario conduce nel suo ufficio. Fra il fumo di pipa e sigarette, montagne di panini e fiumi di birra, che, con regolarità, arrivano dalla vicina brasserie Douphine.

Durante questi sfibranti interrogatori, per ore e ore, Maigret si alterna ai suoi ispettori nel torchiare il sospettato. Le stesse domande vengono poste infinite volte da persone diverse. Si tratta di portare il sospettato fino allo sfinimento, fino al punto in cui confessare il proprio crimine diventa un atto liberatorio: la fine di un incubo.

In Maigret e la Stangona, assistiamo dal vivo allo svolgersi di uno di questi interrogatori. Un interrogatorio alle cui fasi Simenon dedica ben tre capitoli e mezzo!

Vi prende parte persino la Stangona, che si sforza di collaborare con il commissario!

Eppure questo immane sforzo sembra non condurre a nulla perché in nessun momento né il dentista, né sua madre sembrano giunti sul punto di cedere.

Ancora una volta il vero sforzo lo compie Maigret. Il commissario non vive di intuizioni, lo sapiamo, vive nella pelle delle persone con cui si trova ad interagire.

Le lunghe sfibranti ore trascorse tra domande serrate e risposte evasive non portano ad una confessione, ma permettono a Maigret di capire finalmente il rapporto che lega l’accusato e sua madre.

Capito quello tutto appare chiaro a Maigret. Disgustosamente chiaro.

In un altro racconto di Simenon, che un giorno approfondiremo con calma, un personaggio arriva a sostenere che un figlio può amare il genitore più di quanto sia riamato da lui.

È una frase terribile che riporta direttamente al rapporto sofferto tra lo scrittore e la propria madre. Rapporto che non troverà mai soluzione, nemmeno al momento della morte di lei.

Lettera a mia madre.

Maigret e l’abisso dell’animo umano.

Ancora una volta Maigret si trova di fronte al misterioso abisso dell’animo umano. Ne è sconvolto, ma non sorpreso. Da sempre lui sa che non ci si deve accontentare di risposte semplici o scontate, perché, quando si parla di esseri umani, domande e risposte sono sempre complesse.

Così non si sorprende se una donna di strada arriva a confidare in un poliziotto che, anni prima, non l’ha né offesa né umiliata o che una madre possa…

Ecco come partendo da una storia banale si arriva a scrivere romanzi da leggere d’un fiato.

Maigret e la Stangona

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Maigret e la madre del dentistaultima modifica: 2023-06-22T01:45:17+02:00da albatros-331
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