Simenon populista

Populismo e letteratura: Simenon e Maigret.

gente comune della vecchia parigi

Il Populismo nei romanzi di Georges Simenon della serie Maigret.

La letteratura Populista e Simenon.

Simenon ed il Manifesto Populista di Lemonnier.

Più d’uno arriccerà il naso vedendo accostare il nome di Georges Simenon ad una definizione come quella di “populismo”. Etichetta accompagnata da tutta una interminabile serie di pregiudizi piuttosto negativi.

In verità la nostra convinzione è proprio questa.

Quando Georges Simenon esce allo scoperto ed inizia a pubblicare con il proprio nome, lo fa cavalcando l’onda di una corrente (perché vera scuola non fu mai), che interpretava un sentimento diffuso sia tra gli scrittori che tra il pubblico. Un onda che in Francia ha un nome specifico e specifiche ragioni. Piaccia o non piaccia.

Un onda che si chiama Populismo!

Il 27 agosto del 1929 uno scrittore e critico letterario di nome Léon Lemonnier lancia una sorta di chiamata alle armi agli scrittori che vogliano rinnovare, in senso autenticamente realista, la letteratura francese.

Lémonnier pubblica sulle pagine di un noto quotidiano parigino, l’Œvres, il suo Manifeste du populisme. Nell’articolo egli esorta ad una rottura decisa con il passato e con il presente. Chiede che i protagonisti della nuova letteratura francese siano autenticamente popolari, chiede che la si smetta di raccontare vicende incentrate su quelle figure tipiche della Belle Époque, ormai superate dalla storia. Chiede che il popolo minuto entri come protagonista nella letteratura, come sta entrando prepotentemente nelle vicende della quotidianità.

Ancora di più: chiede che nell’osservare il popolo si usi autentico realismo. Non l’esaltazione utopica viziata dall’ideologia politica, né la lente deformante del vecchio naturalismo alla Emile Zola.

Lemonnier indica come esempio del nuovo spirito che deve informare l’epoca, l’opera letteraria di un altro scrittore e critico di grande fama: André Thérive.

Noi riteniamo non sia affatto un caso che la nascita di Maigret coincida, così perfettamente, con l’accendersi del dibattito intorno al rinnovo letterario propugnato dai sostenitori della cosiddetta “scuola” populista. L’eco del quale e, probabilmente molto di più, non può non essere giunto fino alle attentissime antenne di Simenon.

Anzi! Una (non certo la sola) delle autentiche novità che contribuiscono a fare dei romanzi Maigret una vera rivoluzione nell’ambito del romanzo poliziesco è proprio la sua adesione ai principi generali della letteratura populista, così come rappresentata nell’opera di Lemonnier e Thérive.

Possiamo affermare tranquillamente che i primissimi romanzi con Maigret protagonista sono un autentico inno al populismo di Lemonnier e che, anche in seguito, una vena sottile, ma palpabile, del populismo anni ’30, non abbandonerà mai completamente il retrogusto dei romanzi della saga maigrettiana.

Lo stesso Simenon, molti anni dopo il fatidico 1929, spiegherà a Pierre Assouline suo biografo, quanta fatica gli sia costato…

“È da trentadue anni che mi ammazzo per tentare di far dire una parola giusta a un contadino, a un pescatore, e non so a chi altri ancora…Il personaggio complesso è più facile…Ma scrivere il romanzo di quelli che vivono e non pensano…almeno, secondo quello che noi chiamiamo pensare.”

Ripeto, come ho già detto, che immagino già i mal di pancia di più d’uno, tra gli appassionati lettori e studiosi di Simenon. Sentire accostato ciò che amano profondamente a quanto destano altrettanto profondamente può infastidire.

Ma attenzione! Molto è frutto di un equivoco e molto di un errore: quello di voler vedere con gli occhi di oggi cose che di oggi non sono

La lunga querelle sul Populismo.

Tra incomprensioni e interesse politico.

Da alcuni anni il termine populismo riecheggia nuovamente nel dibattito politico un po’ in tutta Europa e, in conseguenza di questo, sono riprese anche le critiche feroci da parte di coloro che giudicano il Populismo una forma di demagogia.

La deriva semantica che ha travolto i termini populismo e populista è stata fin da subito piuttosto violenta e si spiega solo con la lotta serrata e in molti casi cruenta ( il 1900 è stato un secolo di ferro almeno quanto lo fu il X secolo dell’evo medio), al fine di accaparrarsi il diritto di rappresentare il Popolo, condotta dai tanti soggetti culturali, ma soprattutto politici. Da quando cioè il popolo si è progressivamente trasformato in soggetto della Storia, pur senza mai smettere di rimanerne oggetto.

Necessaria digressione sul Populismo.

Al fine di lenire i suddetti mal di pancia si rende qui necessaria una digressione, che spieghi alcune cose sul temine populismo, con preciso riferimento alla situazione francese del 1930.

Tutto la diatriba nasce essenzialmente da tre fattori: un equivoco, una ingenuità e un preconcetto.

  1. Un equivoco di fondo sul significato del termine populismo.
  2. L’utilizzo, forse improprio, del termine operato da Lemonnier e motivato da ragioni più che altro “cacofoniche”.
  3. Il preconcetto dell’intellighenzia di sinistra che pretendeva l’esclusiva su tutto ciò che rappresentasse il popolo.

L’equivoco iniziale.

L’equivoco iniziale è spiegato molto bene da Jean Pérus in un suo lavoro intitolato À la recherche d’une esthétique socialiste (1917-1934). Tutto ha origine quando, dopo il 1880, si diffonde in Europa, proveniente dalla Russia zarista, l’eco dei fermenti sociali, maturati nell’ambiente intellettuale delle metropoli, che si proponevano di emancipare il popolo e le masse contadine, ma soprattutto di opporsi al potere assoluto degli Zar.

Si trattava di un movimento di matrice liberal/socialista, sicuramente non marxista, maturato in ambito borghese. Un movimento sinceramente rivoluzionario e tutt’altro che demagogico, affermatosi ed evolutosi dentro la società russa nel corso di tutto il XIX secolo.

Il nome russo di questo movimento intellettuale e politico fu narodničestvo. Venne tradotto, in Francia, spiega Jean Pérus, partendo dalla base “narod” che significa popolo.

Da qui populismo. In realtà la traduzione più corretta avrebbe dovuto fare riferimento al termine “narodnost“; un termine che comprende in se i significato di popolo e di nazione.

Nazional-popolari sarebbe stato il termine migliore per identificare i rivoluzionari russi del 1880, ma si scelse populisti e tant’è.

La rivoluzione populista era di matrice nazionalista e borghese e puntava all’emancipazione della borghesia russa, né più né meno dei giacobini francesi del 1789. Il popolo minuto, quello contadino in particolare, era idealizzato e visto come depositario degli antichi valori nazionali russi. Ovviamente per i Boscevichi che conquisteranno, in seguito, il potere nel 1917, i Populisti, non erano altro che demagoghi reazionari.

Socialisti e comunisti europei, allora, chi più chi meno, tutti allineati con Mosca fecero dure campagne, da sinistra, contro il populismo. I liberali e i conservatori ne fecero di altrettanto feroci da destra, poiché allergici ad ogni parola che iniziasse con popolo.

Il termine populista divenne sinonimo di demagogia e buona notte ai suonatori.

La scelta improvvida di Lemonnier.

La questione, poi, della scelta del termine populismo, da parte di Lemonnier, per identificare la nuova ed auspicata tendenza letteraria, è altra cosa ancora.

Dovendo egli titolare in qualche modo il suo Manifeste e desiderando, ovviamente, un termine che riassumesse quasi in uno slogan i contenuti espressi dal suo articolo, che colpisse e restasse impresso ai lettori (magari suscitando un po’ di polemica) la sua scelta cadde sulla parola Populisme!

La spiegazione è offerta  dallo stesso Lemonnier.

In una intervista rilasciata a Radio-Paris nel settembre del 1930, egli spiega di aver scelto il termine populisme preferendolo a quelli di humilisme o démotisme (in opposizione al purismo nell’uso del linguaggio letterario), da lui presi inizialmente in considerazione.

In buona sostanza  populismo è stato ritenuto più evocativo e maggiormente adatto a qualificare lo spirito del nuovo movimento letterario.

Questa scelta ha dato origine fin da subito ad una errata interpretazione del movimento stesso. Non è stata felicissima probabilmente. Oggi continua a confondere i più ed a creare imbarazzo, dal momento che il termine populismo ha valenza negativa, sia in francese che in italiano, con un significato ormai esclusivamente politico e, come già detto, prossimo o addirittura sovrapponibile al termine “demagogia“.

Il preconcetto dell’estrema sinistra.

A cavallo degli anni ’30, Léon Lemonnier e André Thérive lanciarono il loro movimento populista, ma altre due tendenze, nella rappresentazione letteraria del popolo, erano con loro in concorrenza.

Due correnti letterarie molto politicizzate e situate entrambe molto più a sinistra.

Quando dico politicizzate non lo faccio in senso spregiativo. Sottolineo semplicemente che l’obbiettivo ultimo di questi ambienti intellettuali non era limitato ad un rinnovamento letterario, ma ad un più complesso rinnovamento sociale. Addirittura ad una rivoluzione sociale!

In primis la scuola cosiddetta proletaria, raggruppata attorno a Henry Poulaille e alla rivista Monde del comunista eretico Henri Barbusse, sostenitori di un’arte di classe che, senza cercare una risposta o dettare un corso d’azione, avesse come obbiettivo la presa di coscienza da parte del proletariato della propria condizione. Presa di coscienza che doveva portare la classe lavoratrice all’emancipazione. Si tratta di una scuola di pensiero sicuramente di sinistra, ma aperta agli ambienti anarchici, del sindacalismo rivoluzionario e a quelli trotskisti. Ambienti che entreranno presto in lotta aperta con i marxisti stalinisti.

Secondi, ma non meno importanti, gli scrittori raggruppati attorno al Partito Comunista francese. Scrittori come Louis Aragon e il Paul Nizan del primo periodo, per esempio. Un ambiente intellettuale in cui è radicata convinzione concepire l’arte, ma anche tutto il resto, come funzionale alla lotta politica. Un ambiente che persegue obiettivi rivoluzionari e condanna l’arte, giudicata “innocua”, dei proletari e dei populisti.

Non deve essere dimenticato che, già dal 1920, il Comitato centrale del Partito Comunista Sovietico aveva istituito una commissione il cui scopo era quello di operare nel campo della semantica, al fine di caricare di significati negativi parole che esprimessero concetti o rappresentassero idee avverse o in competizione con l’ideologia comunista.

Fin dalla sua apparizione la concezione populista fu oggetto quindi di pesanti attacchi da parte di scrittori ed intellettuali di sinistra che l’accusavano di “raccontare il popolo, ma di non essere popolo.

Solo per citarne uno, lo scrittore e critico letterario Jean Guéhenno arriverà a sostenere:

Mi dispiace riconoscere nell’utilizzo di questa parola “populismo”, una certa demagogia. Demagogia nei confronti del borghese a cui è offerta una nuova immagine del suo nemico, ma creata appositamente per rassicurarlo, perché siamo “populisti” e non popolari, ancor meno plebei. Demagogia nei riguardi del popolo di cui sembra loro importare e verso il quale sono abbastanza generosi da conferire un’anima. Ma potrebbe essere che tutto sia ancora molto più semplice e che gli scrittori della nuova scuola non abbiano pensato a nient’altro che a distinguersi con questo termine, per un certo periodo alla moda, dalla folla degli altri romanzieri.

 

Il manifesto della letteratura polpulista.

Una letteratura votata al realismo.

Di fronte a queste tendenze, il populismo di Lemonnier e Thérive si distingue per l’originalità di una posizione interamente dedicata all’arte e quindi apolitica.

La pubblicazione di Lemonnier sul quotidiano L’Œuvre nel 1929 prende le mosse da un’opera di André Thérive pubblicata il 3 maggio del 1927 in Comoedia dal titolo “Plaidoyer pour le naturalisme”.

Successivamente Lemonnier specificò meglio il suo programma in altre due opere: Le Manifeste du roman populiste (La Centaine, 1930) et Le populisme (Renaissance du livre, 1931).

Lontano erede del naturalismo, il populismo di Lemonnier e Thérive intendeva prendere le distanze da Zola, a cui preferiva Maupassant e Huysmans; ma il vero riferimento è da loro indicato nel romanzo di Picaresco.

Scrive Lemonnier:

“I romanzieri Picareschi potrebbero aver già fatto ciò che vorremmo realizzare. Un picaro è un ragazzo del popolo che si muove da una città all’altra, cercando di cavarsela arrangiandosi ”.

Nel Manifesto, Lemonnier posiziona il populismo contro il romanzo borghese e il romanzo psicologico o narcisista del dopoguerra, che, a suo dire, esaltava una:

“letteratura di ansia e debolezza, uno stile da giovani borghesi che, rigettati nella loro vita piatta dopo una periodo di brutale azione e pericolo quotidiano, cercano di solleticare l’anima per sentirsi rabbrividire ”.

Il populismo aveva essenzialmente l’ambizione di dipingere la vita del popolo, senza dubbio, ma ancor di più di “essere autentico” e di prestare maggiore attenzione allo studio della realtà, senza deviazione dallo stile e al di fuori dello scientismo elementare di Zola.

A questo punto direi che sia assolutamente necessario dare un’occhiata a questo benedetto manifesto della letteratura populista!

Eccone il testo in francese:

Un Manifeste du populisme, L’Œuvre, 1929

Nous en avons assez des personnages chics et de la littérature snob ; nous voulons peindre le peuple. Mais avant tout, ce que nous prétendons faire, c’est étudier attentivement la réalité.

Nous nous opposons, en un certain sens, aux naturalistes. Leur langue est démodée et il convient de n’imiter ni les néologismes bizarres de certains d’entre eux, ni leur façon d’utiliser le vocabulaire et l’argot de tous les métiers. Nous ne voulons point non plus nous embarrasser de ces doctrines sociales qui tendent à déformer les œuvres littéraires.

Il reste deux choses. D’abord de la hardiesse dans le choix des sujets : ne pas fuir un certain cynisme sans apprêt et une certaine trivialité –j’ose le mot– de bon goût. Et, surtout, en finir avec les personnages du beau monde, les pécores qui n’ont d’autre occupation que se mettre du rouge, les oisifs qui cherchent à pratiquer des vices soi-disant élégants. Nous voulons aller aux petites gens, aux gens médiocres qui sont la masse de la société et dont la vie, elle aussi, compte des drames. Nous sommes donc quelques-uns bien décidés à nous grouper autour d’André Thérive, sous le nom de “romanciers populistes”.

Le mot, nous l’avons dit, doit être pris dans un sens large. Nous voulons peindre le peuple, mais nous avons surtout l’ambition d’étudier attentivement la réalité. Et nous sommes sûrs de prolonger ainsi la grande tradition du roman français, celle qui dédaigna toujours les acrobaties prétentieuses, pour faire simple et vrai.

Il testo è noto e qui ne riportiamo una sommaria traduzione:

Ne abbiamo abbastanza di personaggi chic e di letteratura elegante; vogliamo descrivere le persone. Ma soprattutto, ciò che pretendiamo di fare è studiare attentamente la realtà.

Siamo, in un certo senso, contrari ai naturalisti. Il loro linguaggio è vecchio stile ed è consigliabile non imitare i bizzarri neologismi di alcuni di essi, né il loro modo di usare il vocabolario e il gergo di tutti i mestieri. Né vogliamo essere imbarazzati da queste dottrine sociali che tendono a distorcere le opere letterarie.

Sono rimaste due cose. Innanzi tutto, audacia nella scelta dei soggetti: non fuggire un certo cinismo senza affettazione e una certa banalità – oserei dirlo – di buon gusto. E, soprattutto, farla finita con i personaggi del bellissimo mondo, gli sciocchi che non hanno altra occupazione se non quella di ammantarsi di rosso, i fannulloni che cercano di praticare i cosiddetti vizi eleganti. Vogliamo andare dalle piccole persone, dalle persone mediocri che sono la massa della società e le cui vite hanno anche dei drammi. Alcuni di noi sono quindi determinati a raggrupparsi attorno ad André Thérive, sotto il nome di “romanzieri populisti”.

La parola, come abbiamo detto, deve essere presa in senso lato. Vogliamo dipingere le persone, ma la nostra ambizione è soprattutto di studiare attentamente la realtà. E siamo sicuri di estendere la grande tradizione del romanzo francese, quello che ha sempre disprezzato le acrobazie pretenziose, per renderlo semplice e vero.

 

Recensione al romanzo del 1928 Sans âme di André Thérive

Recensione al romanzo del 1928 Sans âme di André Thérive.

 

Prima e dopo il Manifesto del 1929.

Una novità vecchia di cent’anni.

Il fermento innovativo del 1930 che vorrebbe conduce scrittori e poeti verso la cosiddetta petites gens ( le piccole storie degli umili, della gente del popolo), non è del tutto nuovo: anzi.

La rappresentazione del popolo in letteratura, quando Lemonnier pubblicò il suo Manifesto, è ormai una “nouveauté centenaire” (una novità vecchia di cent’anni), per dirla con le parole di Pierre Morgat, che ricordava, ovviamente, Les Mystères de Paris di Eugène Sue e Les Misérables di Victor Hugo.

Procede dalle novelle di Maupassant, dai romanzi di Louis Guilloux (La Maison du peuple), di Eugène Sue e i suoi Les Mystères de Paris 1842 e continua nelle opere di Francis Carco (JésuslaCaille 1914e nelle sue poesie:

Sur les quais, le long de la Seine, A Montmartre, près des moulins, Mes souvenirs entrent en scène: Bonjour, Paris des assassins! Bonjour, Paris des midinettes, Des filles, des mauvais garçons, Des clochards et des bals-musette! Si je te dois d’être poète, C’est sur un air d’accordéon.

Ma è certo che questa rappresentazione acquisì una crescente importanza nel periodo tra le due guerre, un periodo che coincise con un forte progresso della popolazione a tutti i livelli di potere economico e politico, e il cui apogeo sarà l’elezione del Fronte popolare nel 1936.

Il senso profondo dell’idea “populista” è nello spirito del tempo. In quello stesso 1929 appaiono altre due opere che della letteratura populista saranno considerate il simbolo: L’Hôtel du Nord primo romanzo di Eugène Dabit e La Table-aux-crevés opera dello scrittore Marcel Aymé.

Del 1930 è il saggio Nouvel Age littéraire, opera di Henry Poulaille.

Molti furono, in quegli anni, gli scrittori le cui opere si caratterizzarono, almeno temporaneamente, per contenuti di tematica populista; che si tratti di Jean Prévost (Les frères Bouquinquant, Gallimard, 1930) o Pierre Bost (Porte-Malheur, Gallimard, 1932) o del nostro Simenon e del suo Maigret.

Le radici, dunque, vengono da lontano, ma si attualizzano e trovano nutrimento nella nuova situazione sociale determinata dagli sconvolgimenti del primo conflitto mondiale.

Il Premio al romanzo Populista.

Come nasce il Premio al romanzo Populista?

Léon Lemonnier istituisce un salone populista che annualmente riunisce romanzieri e pittori della cosiddetta scuola di Montmartre, ma è Antonine Coullet-Tessier (poetessa e scrittrice 1892-1983), allo scopo di premiare ogni anno, il romanzo:

Che prediliga come protagonisti le persone comuni e gli ambienti popolari, a condizione che sia animato da autentica umanità.

Quanto le opere premiate siano, oggi, aderenti allo spirito originario del Manifesto del 1929 è abbastanza arduo dirlo. Ed anche inutile. Il populismo, nel senso inteso da Lemonnier, si è trasformato grandemente, ha preso mille rivoli, si è attualizzato e modificato. Anche il concetto di popolo ha seguito la stessa sorte e non poteva essere diversamente.

Come poi, oggi, si possa definire un romanzo animato da autentica umanità, credo sia altrettanto difficile.

Lo era, forse, meno allora, agli esordi di quella marcia che doveva portare les petites gens ad affermarsi come protagonisti (diciamo coprotagonisti) di questo secolo.

Il primo vincitore sarà l‘Hôtel du Nord di Eugène Dabit, ne seguiranno molti altri nel corso degli anni.

Il populismo ebbe un’importanza innegabile nel panorama letterario degli anni Trenta. Più in generale, rappresentò una delle tendenze della letteratura, che comprendeva anche scrittori comunisti come Paul Nizan e Louis Aragon, e il scrittori della scuola proletaria di Henry Poulaille e Marc Bernard, ma anche tantissimi altri.

Alcuni esponenti di spicco della scuola proletaria, riceveranno anch’essi le Prix du roman populiste, come, ad esempio Tristan Rémy e Jean Pallu. Persino Jean-Paul Sartre, nel 1940, risulta vincitore per il romanzo Le Mur

Il premio ha conosciuto un’esistenza piuttosto movimentata e non è stato assegnato per lunghi periodi. Per l’esattezza: dal 1937 al 1939, nel 1946 e nel 1947, dal 1978 al 1983.

Dal 2012 il premio ha cambiato nome ed oggi è conosciuto come Prix Eugène-Dabit du roman populiste. Questo a dimostrazione che il termine “populismo”, in ambito letterario, possiede ancora una sua dignità: almeno in Francia!

Giusto per completezza d’informazione ecco l’elenco di tutti i vincitori del premio nel corso degli anni. Non tutti, naturalmente, ma molti nomi sono di autori di grande fama.

  • 1931 : Eugène Dabit per L’Hôtel du Nord
  • 1932 :
    • Jules Romains per Les Hommes de bonne volonté, tomes I et II
    • Jean Pallu per Port d’escale
  • 1933 : Henri Pollès per Sophie de Tréguier
  • 1934 : Marie Gevers per Madame Orpha ou la Sérénade de mai
  • 1935 : Henri Troyat per Faux Jour
  • 1936 : Tristan Rémy per Faubourg Saint-Antoine
  • 1940 : Jean-Paul Sartre per Le Mur
  • 1941 : Jean Rogissart per Le Fer et la Forêt
  • 1942 : Louis Guilloux per Le Pain des rêves
  • 1943 : Marius Richard per La Naissance de Phèdre
  • 1944 : Jean Merrien per Bord à bord
  • 1945 : Emmanuel Roblès per Travail d’homme
  • 1948 : Armand Lanoux per La Nef des fous
  • 1949 : Serge Groussard per Des gens sans importance
  • 1950 : René Fallet per Banlieue sud-estLa Fleur et la sourisPigalle
  • 1951 : Émile Danoën per Une maison soufflée aux vents
  • 1952 : Herbert Le Porrier per Juliette au passage
  • 1953 : Mouloud Feraoun per La Terre et le Sang
  • 1954 : Yves Gibeau per Les Gros Sous
  • 1955 : René Masson per Les Compères de miséricorde
  • 1956 : Jean-Pierre Chabrol per Le Bout-Galeux
  • 1957 : Jean Anglade per L’Immeuble Taub
  • 1958 : René Rembauville per La Boutique des regrets éternels
  • 1959 : Paule Wislenef per La Polonaise à Chopin
  • 1960 : André Kédros per Le Dernier Voyage du « Port-Polis »
  • 1961 : Christiane Rochefort per Les Petits Enfants du siècle
  • 1962 : Bernard Clavel per La Maison des autres
  • 1963 : Jean-Marie Gerbault per Chers poisons
  • 1964 : René Pons per Couleur de cendre
  • 1965 : Jean Hougron per Histoire de Georges Guersant
  • 1966 : André Remacle per Le Temps de vivre
  • 1967 : André Stil per André
  • 1968 : Pierre Fritsch per Le Royaume de la côte
  • 1969 : Pierre Basson per La Tête
  • 1970 : Maurice Frot per Nibergue
  • 1971 : André Pierrard per La Fugue flamande
  • 1972 : Clément Lépidis per Le Marin de Lesbos
  • 1973 : Jean-Marie Paupert per Mère angoisse
  • 1974 : Raymond Achille de Lavilledieu per L’Amour guêpe
  • 1975 : Raymond Jean per La Femme attentive
  • 1976 : Alain Gerber per Une sorte de bleu
  • 1977 : Claude Aubin per Le Marin de fortune
  • 1984 : Daniel Zimmermann per La Légende de Marc et Jeanne
  • 1985 : Leïla Sebbar per Les Carnets de Shérazade
  • 1986 : Ada Ruata pour Elle voulait voir la mer
  • 1987 : Gérard Mordillat per À quoi pense Walter ?
  • 1988 : Daniel Rondeau per L’Enthousiasme
  • 1989 : René Frégni pour Les Chemins noirs
  • 1990 : Didier Daeninckx per Le Facteur fatal
  • 1991 : Sylvie Caster per Bel-Air
  • 1992 : Pierre Mezinski per Simon Rouverin : le forçat du canal
  • 1993 : Denis Tillinac per Rugby blues
  • 1994 : Jean Vautrin per Symphonie Grabuge
  • 1995 : Patrick Besson per Les Braban
  • 1996 : Hervé Jaouen per L’Allumeuse d’étoiles
  • 1997 : Rachid Boudjedra per La Vie à l’endroit
  • 1998 : Jean-Marie Gourio per Chut !
  • 1999 : Jean Ferniot per Un temps pour aimer, un temps pour haïr
  • 2000 : Philippe Lacoche per HLM
  • 2001 : Daniel Picouly per Paulette et Roger
  • 2002 : Marie Rouanet per Enfantine
  • 2003 : Dominique Sampiero per Le Rebutant
  • 2004 : Laurent Gaudé per Le Soleil des Scorta
  • 2005 : Louis Nucéra per l’ensemble de son œuvre, à titre posthume
  • 2006 : Akli Tadjer per Bel-Avenir
  • 2007 : Olivier Adam per À l’abri de rien
  • 2008 : Jean-Luc Marty per Rumba
  • 2009 : Samuel Benchetrit per Le Cœur en dehors
  • 2010 : Natacha Boussaa per Il vous faudra nous tuer
  • 2011 : Shumona Sinha per Assommons les pauvres
  • 2012 : Thierry Beinstingel per Ils désertent
  • 2013 : Violaine Schwartz per Le Vent dans la bouche
  • 2014 : Dominique Fabre per Photos volées
  • 2015 : Didier Castino per Après le silence
  • 2016 : Hugo Boris per Police
  • 2017 : Titaua Peu per Pina
  • 2018 : Estelle-Sarah Bulle per Là où les chiens aboient par la queue
  • 2019 : Joseph Ponthus per À la ligne. Feuillets d’usine

Circola una sorta di leggenda, molto diffusa tra la critica letteraria, secondo la quale La Rue sans nom di Marcel Aymé avrebbe ricevuto il premio nel 1930, ma è del tutto priva di fondamento.

 

Simenon, Maigret e il romanzo populista.

L’influenza della scuola populista sulle prime scelte di Simenon.

Lettore volonteroso che sei arrivato fino a questo punto del post, ti meriti senz’altro che, finalmente, si entri nello specifico dell’argomento Simenon e il populismo.

Ora sia ben chiaro: la mia intenzione non è certo quella di confinare Georges Simenon dentro i ristretti confini di una specifica scuola letteraria. A maggior ragione quando una vera scuola populista, come abbiamo detto, nemmeno è mai esistita.

Sarebbe ingiusto, e sarebbe sbagliato.

È già difficile, anche riferendosi ai soli Maigret, confinare lo scrittore belga dentro il pur vasto genere poliziesco!

Detto questo, rimane abbastanza evidente che, soprattutto nei primi Maigret, la nota dominante che caratterizza il personaggio e il climax delle vicende narrate, rimandi direttamente al Manifeste di Lemonnier ed al romanzo populista.

Nessuna avventura eclatante! Le vicende si svolgono nel mondo reale e sono quelle di persone comuni che chiunque di noi può incontrare in ogni momento. Maigret stesso è un personaggio di estrazione popolare e, sostanzialmente, un piccolo borghese.

Senza, invero, mai arrivare ad essere un borghese piccolo, piccolo.

Borghesi, artigiani, pescatori, pensionati soli, miserabili disadattati, portinaie, ballerine, prostitute. Tutto un mondo profondamente umano che si muove sullo sfondo delle vie più popolose di Parigi o della profonda provincia francese.

Simenon cercava da tempo, almeno dal 1928, un suo modello di racconto poliziesco che gli consentisse di sfruttare l’estrema popolarità del genere, ma che, allo stesso tempo, gli permettesse maggiore libertà espressiva ed originalità.

Si avvicina a quello che sarà poi Maigret attraverso un percorso complesso che lo porta a sperimentare varie soluzioni.

Io credo che l’intuizione finale, sia arrivata anche attraverso lo stuzzicante messaggio costituito dal Manifeste di Lemonnier, e dalle discussioni che sicuramente lo hanno seguito.

Se guardiamo a Pietr le letton, il primo Maigret, vediamo come questo romanzo si riveli, quasi sfacciatamente, un vero e proprio omaggio al populismo di Lemonnier.

Forse addirittura troppo sfacciato: al punto da rimandarne la pubblicazione a dopo il lancio della serie.

Questo non significa certamente che la vena realista non fosse già nelle corde di Simenon stesso, o che egli si sia lasciato influenzare.

Semplicemente, ritengo che il dibattito culturale fosse quanto mai aperto e Simenon vi si sia inserito a modo suo.

Se la nuova letteratura doveva guardare al popolo minuto, ebbene, lo poteva fare anche il poliziesco!

Sarebbe stata un’autentica novità. Proprio l’obbiettivo che si era posto Simenon.

Questo avvenne, naturalmente, grazie alla indiscutibile capacità di Simenon ed alle sue qualità di autentico scrittore.

Così i romanzi della saga maigretttiana, che lo stesso Simenon definisce semi-letteratura, escono dall’ambito del classico poliziesco, almeno come era inteso all’epoca, e si rivelano quel qualcosa in più che intuì molto bene e fin da subito Alberto Savinio.

E quella vena, populista, popolare o realista (chiamiamola come si vuole), rimane e si espande anche, poi, nella migliore produzione letteraria del Simenon dell’epoca.

Non è un caso quindi se proprio André Thérive, punto di riferimento del populismo letterario e dello stesso Lemonnier, scriva su Temps:

Credo proprio di aver appena letto un capolavoro allo stato puro (Le locataire – Gallimard 1934)… Io protesterò sempre quando si accuserà Simenon di scrivere male. Scrive bene, cioè giusto, come necessita. Leggete Les Pitard (1935), un libro straordinario, così complesso e così semplice, e dite se la parola perfezione non è la più esatta per definirlo...”.


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Simenon populistaultima modifica: 2020-03-26T02:15:53+01:00da albatros-331
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