Gino Cervi il Maigret italiano

Maigret e Gino Cervi binomio inscindibile.

Gino Cervi il Maigret italiano migliore di sempre.

Gino Cervi il Maigret italiano migliore di sempre.

Maigret e Gino Cervi uniti per sempre.

Maigret Gino Cervi: in Italia, un binomio inscindibile.

Ancora oggi in Italia, nonostante i molti anni trascorsi dalla fortunata serie televisiva degli anni ’60 del secolo scorso, in personaggio del commissario Maigret, creato dallo scrittore Georges Simenon, è ancora inscindibilmente legato al suo interprete: l’attore Gino Cervi.

Certamente è così per tutti quelli che hanno imparato a conoscere il commissario francese nella serie televisiva degli anni ’60: Le inchieste del commissario Maigret.

Ma anche per moltissimi delle generazioni successive, che quel Maigret di Gino Cervi hanno avuto occasione di vederlo solo in seguito, l’attore italiano rimane il migliore interprete del commissario francese famoso per la sua pipa.

Così come, per un francese, Maigret ha, inevitabilmente, il volto di Jean Gabin e per un inglese quello di Davies Rupert, per un italiano è naturale accomunare la figura del poliziotto di Georges Simenon, a quella messa così abilmente in scena dal grande Gino Cervi.

Gino Cervi ha interpretato Maigret in un modo così naturale, calandosi nel personaggio al punto da identificarvisi completamente, che il pubblico ha percepito immediatamente la simbiosi e ne è rimasto affascinato.

Durante quelle mitiche 16 puntate andate in onda, alla RAI, fra il 1964 e il 1972, si è creato un rapporto indistruttibile fra il pubblico italiano, il personaggio e l’interprete.

…Di questo paese popolato da grandi attori il sovrano assoluto è Cervi-Maigret, che ascolta e interroga, osserva e si fa osservare, si commuove e s’arrabbia, stima e disprezza profondamente, assolve e condanna. Comprende, assolve e stima tutto ciò che è umano (i personaggi buoni, onesti, semplici, quelli indifesi, deboli, disarmati di fronte alla vita, oppure ancora quelli sinceri, schietti, puliti, incapaci di pensare il male). Condanna invece i personaggi disumani, che, per qualche soldo in più, sono disposti a tutto (la signora Le Cloaguen), o che uccidono così tanto per fare (Radek), o quelli che si sentono, e – per un motivo o per l’altro – sono davvero, al di sopra della giustizia, destinati a non scontare mai nessuna pena per i crimini commessi….

DA “Vita e arte di Gino Cervi” di Giulia Tellini


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Vita e arte di Gino Cervi


Gino Cervi, Maigret e la Televisione.

Gino Cervi è stato dunque il migliore Maigret italiano e uno dei migliori a livello internazionale, ma non è tutto merito suo se quelle sedici puntate sono ancora scolpite nella memoria di tanti spettatori italiani.

Come la Tellini stessa fa notare, la fortunata e leggendaria serie televisiva degli anni ’60, deve il proprio successo anche all’incredibile (almeno ai tempi d’oggi) quantità di attori di grandissima caratura coinvolti nella produzione e che hanno condiviso la scena insieme al protagonista Gino Cervi.

Merito anche di tutti loro se ancora oggi il Maigret italiano si chiama Gino Cervi.

Così come non si deve trascurare la crescente importanza che il mezzo televisivo andava assumendo nella società italiana di quei tempi. Un’importanza meno pervasiva, a livello soggettivo, di quella di odierna, ma infinitamente più coinvolgente a livello di collettività.

Gino Cervi è prima di tutto attore di teatro.

Limitativo, se non addirittura ingiusto, presentare questo splendido attore italiano solo come l’interprete di Maigret, anche se fra i migliori. Limitativo perché, Gino Cervi, ha vissuto una vita intera dedicata alla sua professione, è nato prima di tutto come attore di Teatro e del Teatro italiano è stato uno dei grandi protagonisti, per gran parte del secolo scorso.

La vita professionale di Gino Cervi è stata ben più lunga delle sedici puntate della serie dedicata a Maigret. È stata la vita di un uomo innamorato del Teatro e dell’arte di recitare. Una vita dedicata interamente e fin da subito a quella che Cervi ha voluto fosse la sua professione.

Una vita di impegno e sacrifici, ma anche costellata di enormi successi e soddisfazioni.

Dalle grandi stagioni teatrali del primo dopoguerra agli esordi del cinema sonoro in Italia, al periodo bellico, al secondo dopoguerra e alla Televisione.

Gino Cervi nasce a Bologna all’alba del ‘900.

Classe 1901, Gino Cervi, al secolo Luigi Cervi, nasce a Bologna il 3 di maggio, da Antonio Cervi e Angela Dall’Alpi.

Il padre è critico teatrale per il Resto del Carlino e, forse, questo influisce sulla precoce vocazione artistica del giovane Gino, che in casa può nutrirsi di buone letture sul teatro e sulla vita di noti attori. Senza contare che fra quelle mura non è inusuale incontrare grandi nomi del teatro italiano: D’Annunzio e Carducci, per citarne due, che evitarono di spararsi in duello proprio grazie ai buoni uffici di Antonio Cervi.

Pur se osteggiato dal genitore (- Sei un cane!– gli dirà il padre, dopo averlo visto recitare nella piccola filodrammatica dove Gino esordisce a diciott’anni), egli matura una buona preparazione in materia ed aspira prestissimo a calcare le scene.

Negli anni del Liceo, Gino Cervi, inizia a frequentare le Filodrammatiche bolognesi dei “Cantagalli” e degli “Impiegati civili” .

Un primo debutto avviene nel 1919, con una compagnia filarmonica locale, nel “Marchese di Priola”, ma il giovane è subito costretto ad allontanarsi dalle scene per intraprendere l’Università; spinto dal padre che sogna per lui una carriera prestigiosa da professore o magistrato.

Risale a questi anni universitari, 1920, la sua adesione al Fascismo e alle Squadre d’Azione. Nell’ottobre del 1922 partecipa alla Marcia su Roma.

Gino Cervi a Roma per amore del Teatro.

Alla morte del padre, avvenuta nel 1923, Gino Cervi lascia Bologna e vendendo la terra ereditata dal genitore si trasferisce a Roma, deciso, ora, a dedicarsi completamente all’attività di attore. Un po’ come il nostro Simenon lascia Liegi, due anni prima, per Parigi e la carriera di scrittore.

A Roma, nel 1924, entra a far parte della compagnia di Alda Borelli ed inizia una carriera piuttosto rapida. Migliora costantemente la propria formazione artistica, da autodidatta, ed approda, poco dopo, alla compagnia del Teatro d’arte di Roma, diretta da Luigi Pirandello.

Da allora in poi, per Gino Cervi, è un susseguirsi di interpretazioni di ottimo livello che lo vedono impegnato in collaborazioni con i principali protagonisti della scena teatrale italiana dell’epoca.

Dai già citati Alda Borrelli e Luigi Pirandello a Lamberto Picasso 1926/27, e poi 1931/32, Annibale Bertone 1927/30, Anna Melato 1930/31, Kiki Palmer 1931/32 e altri ancora. Fino alla stagione 1936/37 quando Cervi forma con Sergio Tofano ed Evi Maltagliati una propria compagnia. L’esperienza dura un solo anno, ma è interessante e di successo.

Nel 1928 il giovane attore si è sposato con l’attrice Ninì Gordini, conosciuta nell’ambito della compagnia Bertone.

A partire dai primi anni trenta del novecento, Cervi, partecipa anche ad alcune pellicole cinematografiche.

Il Cinema italiano, muove allora i primi passi e pesca a piene mani fra gli attori di teatro per cercare i suoi interpreti. Un po’ come farà la Televisione ai suoi esordi negli anni ’50.

Fra il 1938 e il 1942, Gino Cervi, non smette, ad ogni modo, di lavorare in teatro. Costituisce con la Pagnani, la Morelli e Paolo Stoppa, la compagnia dell’Eliseo, portando in scena opere di Pirandello, Testoni, Corrado Alvaro, ma anche Shakespeare e Dostoevskij.

Negli anni ’40 lavora nuovamente al Cinema, tornando, poi, in teatro nel 1945 con la Nuova compagnia dell’Eliseo.

La sua attività artistica continua ininterrottamente fino al 1970, alternando teatro, cinema, doppiaggio e, dal 1963, televisione.

Gino Cervi e il cinema – gli anni 1930/1940.

Il Cinema cattura molto presto l’attenzione del giovane Gino Cervi e non poteva essere diversamente.

La stagione del Cinema sonoro è ormai iniziata anche in Italia!

Nel 1930 esce nelle sale cinematografiche “La canzone d’amore” di Gennaro Righelli: primo film sonoro italiano. Il successo è subito strepitoso.

L’anno successivo lo segue “Resurrectio” di Alessandro Blasetti, che non eguaglia il successo del precedente, ma dimostra che il Cinema italiano ha decisamente imboccato la strada dell’innovazione e tenta di uscire dalle secche della crisi, apertasi all’indomani della Prima Guerra Mondiale.

Nel 1932 Mario Camerini dirige un giovanissimo Vittorio De Sica nel famosissimo “Gli uomini che mascalzoni”.

Impossibile per un attore come Gino Cervi sottrarsi al fascino della Settima Arte.

Pur amando visceralmente il mondo del Teatro, al pari di molti suoi colleghi, Cervi sente che il Cinema, ora che ha conquistato anche l’uso della parola, è diventato un imprescindibile e provocante terreno di sfida, per un giovane attore del suo calibro.

L’esordio cinematografico di Cervi avviene nel 1932, con un piccolo ruolo nel film di Gennaro Righelli “L’armata azzurra”; pellicola che celebra le gesta degli avviatori italiani degli anni ’30.

A questa prima apparizione segue, nel 1934, il primo ruolo da protagonista nel film “Frontiere” di Cesare Meano, storia piuttosto malinconica e triste girata a Torino nell’Ospizio dei poveri della carità e nei vecchi teatri di posa del “muto torinese”.

Il tema è la solitudine e l’emarginazione. Un tema non facile e che non promette certo facili successi, ma Gino Cervi ci si butta con evidente entusiasmo:

Gino Cervi lasciava a mezzanotte il Teatro Alfieri, ove recitava con la Maltagliati e con Tofano. Correva in automobile fino alla campagna intorno al capannone dell’antica Leonardo Film. E là giravamo scene notturne di strada, di autocarri, ecc. Ricordi, caro Cervi, quant’erano fredde quelle notti del febbraio torinese? I canti dei galli ci sorprendevano al lavoro, un po’ rattrappiti, ma allegri. E tu tornavi a all’albergo (incurante del sonno di tua moglie), cantando “Salve dimora casta e pura”» (C. Meano, “Film”, 13.6.1942).

La pellicola, girata con attori professionisti e veri ospiti dell’ospizio, soffre certo di evidenti limiti. Viene proiettata in sale minori ed ha una difficile distribuzione. La critica non le tributa certo ovazioni entusiastiche, ma nemmeno la stronca decisamente:

“Frontiere è nato a un tavolo di redazione, da un incontro di due giornalisti tentati da quella difficile e pericolosa avventura che può essere la creazione di un film. È nato in un’atmosfera di bell’entusiamo, di calorosa fiducia, di non banali propositi. Sono state queste fra le energie maggiori del Meano e del Carafoli, rispettivamente regista e direttore di produzione del film. Nuovi entrambi ai teatri di posa; forse spettatori attenti ed esigenti di parecchie prime visioni; soliti a risolvere i loro problemi espressivi o di mestiere con la stilografica (il Meano è anche autore di commedie, romanzi, e di versi); ignari della tecnica cinematografica, delle sue insidie infinite: si sono buttati nell’impresa con un ardore giovanile, degno veramente di ogni simpatia.”

E ancora nella stessa recensione uscita su La Stampa nel 1935:

“Frontiere è, tipicamente, il film viziato di letteratura. Di una letteratura morbida e un po’ nebulosa, dolce e dolciastra di commozioni, amante d’allusioni in sordina, accorata di malinconie non sempre legittime; e questa letteratura vi è tanto più evidente perché il linguaggio cinematografico qui non appare con le sue doti fondamentali di ritmo d’immagini, ma chiede in prestito le sue cadenze al racconto più o meno crepuscolare. Episodi e scorci che, inquadrati nel fluire di alcune pagine, potrebbero acquistare una loro luce e un loro timbro, qui appaiono in una trasposizione assai singolare, dove sovente ci si incontra con ciò che cinematograficamente dovrà considerarsi inespresso; e il film procede così per appunti, spesso per notazioni marginali, dove molte volte il dialogato fa da padrone, e vorrebbe dar tono all’immagine” (M. Gromo, “La Stampa”, 1.6.1935).

Nel 1935 Gino Cervi interpreta “Amore” di Carlo Ludovico Bragaglia.

La prima del film è, fuori concorso, alla Mostra del Cinema di Venezia del 1935.

La critica sarà benevola, ma non entusiastica.

Sempre nello stesso anno Cervi interpreta il ruolo di Corrado Valeri nel film Aldebaran. Un ufficiale di marina dilaniato dal conflitto fra il proprio dovere di militare e la passione personale scatenata in lui dalla gelosia per la propria moglie, interpretata da Evi Maltagliati.

Il film che porta la regia di Alessandro Blasetti è molto apprezzato. Blasetti poi lo rinnegherà, nel dopo guerra, ma non è difficile intuirne i motivi.

Gino Cervi interpreta ancora molte pellicole in quegli anni, ma il vero grande successo arriva nel 1938 con “Ettore Fieramosca” ancora di Alessandro Blasetti.

Film di grande respiro, con scene di massa di notevole effetto, questa pellicola rappresenta certamente molto bene il filone migliore del Cinema di quegli anni.

Si tratta di una delle opere migliori di Blasetti, girato con larghezza di mezzi e con un cast di tutto rispetto.

La messa in scena è vigorosa, la fotografia è ottima, le atmosfere evocano “Aleksandr Nevskij” di Eizenstejn, anch’esso girato dal maestro russo nel 1938.

Accanto a Gino Cervi un magnifico Osvaldo Valenti, nel ruolo del capitano francese Guy de la Motte, ma anche molti altri nomi famosi del cinema italiano, alcuni dei quali destinati, come Cervi, ad un’altrettanto fulgida carriera anche dopo la guerra: Clara Calamai, Andrea Checchi, Arnoldo Foà. Tutti nomi ben noti al pubblico italiano.

Il successo è clamoroso e apre la strada a tutta una serie di altri film di ambientazione storica, cui Gino Cervi parteciperà con ruoli importanti.

“Un’avventura di Salvator Rosa” sempre di Blasetti, con Luisa Ferida, Rina Morelli e Osvaldo Valenti, è del 1939, mentre del 1942 è “La Corona di Ferro” ancora di Blasetti con Massimo Girotti, la Morelli, la Ferida e, ancora, Osvaldo Valenti.

Quattro passi fra le nuvole

In tutto saranno ben 22 il titoli con Gino Cervi protagonista soltanto fra il 1938 e il 1945.

Leggi la storia del cinema italiano.

Gino Cervi: Cinema e Teatro negli anni 1940/1945.

Gino Cervi negli anni del periodo bellico, 1940/1945 lavorò moltissimo sia al Cinema che in Teatro.

Nonostante lo scoppio della guerra vediamo la sua partecipazione a ben 18 pellicole cinematografiche.

L’attività teatrale, nell’Italia in guerra, è decisamente più penalizzata dagli eventi bellici di quanto non lo sia quella cinematografica e, di fatto, questa si conclude, per Cervi, nel 1942 con lo scioglimento della Compagnia dell’Eliseo.

Costituita nel 1938 con Andreina Pagnani, Rina Morelli, Paolo Stoppa, Amelia Chellini e Carlo Ninchi, la Compagnia stabile dell’Eliseo portò sulle scene importanti opere sia classiche che contemporanee.

Vale la pena di ricordarne alcune: Ma non è una cosa seria di Pirandello, La maschera e il volto di Chiarelli, La dodicesima notte di Shakespeare, Il caffè dei naviganti di Corrado Alvaro, Il giocatore di Dostoevskij e molte altre ancora.

Il Cinema trasloca da Cinecittà al Cinevillaggio.

Nel 1940 furono girati, in Italia, ben 48 film. La produzione salirà a 59 nel 1942, per poi crollare a 25 nel 1943.

Con la fuga del Re e l’avvento della RSI il Cinema italiano si trasferisce al nord. In parte a Venezia, presso l’isola della Giudecca (il Cinevillaggio), e, in parte a Torino, negli stabilimenti Fert in corso Lombardia.

Cinecittà chiude i battenti licenziando i più di mille dipendenti e gli stabilimenti sono requisiti dai tedeschi, prima, e dagli americani successivamente. Anche il materiale di ripresa è requisito dai tedeschi e, solo in parte, restituito poi al Cinevillaggio di Venezia.

Gino Cervi in quegli anni difficili, continua a lavorare a Roma. Non segue le sorti della Repubblica Sociale e, quindi, non si reca al nord con tutta la carovana del cinema.

Il film Vivere ancora di De Robertis viene terminato proprio a Torino nel 1944. Le parti interpretate da Gino Cervi erano state girate in precedenza a Roma. Si tratta di un film organizzato in episodi, quindi l’assenza di Cervi non comportò alcun problema per la produzione.

Gino Cervi lavora regolarmente a Cinecittà fino a che questa rimase in attività. Con l’arrivo degli americani e la ripresa del lavoro egli torna a girare, già nel 1945, appena gli si presenta l’occasione.

La prima pellicola del nuovo corso sarà: Le miserie del signor Travet di Mario Soldati.

In questo film, Gino Cervi, non riveste il ruolo principale, ma la sua interpretazione gli vale, nel 1946, il Nastro d’Argento come migliore attore non protagonista.

Una curiosità, “Le miserie del signor Travet”, sarà il primo film trasmesso dalla RAI (Radio Televisione Italiana) quando il 3 gennaio del 1954 inizieranno le trasmissioni regolari in Italia.

Non tutti i film cui il Cervi partecipa, nel quinquennio 40/45, godono di buona fama da parte della critica di oggi. I più ebbero, però, un buon successo all’epoca: sia di pubblico, che di critica.

Il primo film realizzato da Cervi nel 1940, Una romantica avventura, girato da Mario Camerini e interpretato anche da Assia Noris, ha una deludente accoglienza nella sala di proiezione, da parte del pubblico presente alla Mostra del Cinema di Venezia di quell’anno. In seguito ebbe, però, un’ottimo risultato di pubblico e di incassi e, anche la critica, lo accolse molto favorevolmente.

Alcune di queste pellicole raccontano storie sentimentali, come il già citato Una romantica avventura, altre sono commedie, come Lo sbaglio di essere vivo, regia di Carlo Ludovico Bragaglia, con De Sica e Isa Miranda, oppure drammoni tenebrosi come Vivere ancora, un film a episodi girato da Francesco de Robertis.

Menzione a parte meritano sicuramente: La peccatrice di Amleto Palermi, sempre con Vittorio de Sica e Paola Barbara, La corona di ferro di di Alessandro Blasetti del 1941, dove Gino Cervi interpreta Re Sedemondo al fianco di Massimo Girotti, Luisa Ferida, Osvaldo Valenti, Elisa Cegani e, soprattutto, Quattro passi fra le nuvole del 1942, sempre di Blasetti, con Adriana Benetti.

Quest’ultimo film è considerato da molti un’anticipazione del Cinema neorealista. In particolare la prima parte della pellicola.

Giuseppe de Santis su “Cinema” del gennaio 1943 scrive a proposito di Quattro passi fra le nuvole:

Non possiamo che salutare con tutto il nostro entusiasmo questo ritorno di Blasetti ad un lineare linguaggio realistico, dove seguendo le peripezie del protagonista entriamo nella casa dei fattori, con la descrizione di questo ambiente, che avrebbe dovuto fare da contrappunto con quello della città; gli sceneggiatori sono caduti in un pateticismo di cattiva lega. Anche la fotografia finisce per assumere un carattere dolciastro. Bisognerà dire che i russi sono stati i maestri del miglior Blasetti ed egli non li ha dimenticati, se qui troviamo intensamente espresso il valore delle case di periferia con le inquadrature all’inizio e alla fine del film…

Altra menzione a parte, merita sicuramente il film Gente dell’aria, girato a Roma nel 1942 ed uscito nelle sale nazionali nel marzo del 1943. Il film, nato da un’idea di Bruno Mussolini (figlio del Duce e pilota d’aereo egli stesso, caduto in un volo di collaudo nel 1941) vede la regia affidata ad Esodo Pratelli, pittore, dirigente di Cinecittà e regista (Pia de’ Tolomei, A che servono questi quattrini). Il cast è di tutto rispetto: Gino Cervi, Adriana Benetti, Antonio Centa, Elisa Cegani, Paolo Stoppa e solo per citare i principali.

Gente dell’aria è sicuramente il miglior film di guerra mai prodotto in Italia e, forse per una serie di fortunate circostanze, oltre naturalmente al gran lavoro di tecnici ed interpreti, risulta un’opera perfetta nel suo genere. (Gente dell’aria)

Di quest’opera Mino Doletti scrive sul periodico “Film” del 1° maggio 1943:

“Nel film c’è uno stile di famiglia, che si richiama in modo impressionante a Luciano Serra pilota, supervisione di Vittorio Mussolini, e al più recente Un pilota ritorna. Che dico uno stile?! Voglio dire un’impronta, un modo di sentire il volo, un modo di voler bene all’aeroplano, e tutto questo con calma, riserbo e discrezione. Non è dunque un film eroico americanata dei due rivali che si contendono una donna, e se c’è una donna, se c’è una rivalità tra i due fratellastri, la storia è tenuta in modo più semplice. Diciamo grazie al film: la patria è viva e forte, anche per quegli umili a cui fa effetto il sentire di un inno o il passaggio della bandiera…”

Ma arriva l’8 settembre e la necessità di trasferire, di lì a poco, l’industria cinematografica nel nord Italia. Il trasferimento delle produzioni cinematografiche italiane al nord non entusiasma, evidentemente, Gino Cervi e molti suoi colleghi. Sembra che per procrastinare al massimo il trasferimento a Venezia, l’intera troupe del film Quartetto pazzo, fra cui anche Cervi, continui a girare a Roma, con mezzi di fortuna, in modo tale da figurare in piena attività. Il film girato da Guido Salvini supererà, poi, la censura post bellica con il visto n° 66 e uscirà nelle sale nell’agosto del 1945.

Il dopoguerra di Gino Cervi.

Le truppe alleate entrano a Roma il 5 giugno del 1944. La guerra non è ancora finita, ma nella Capitale si tenta, lentamente, di tornare alla normalità della vita o, almeno, ci si prova.

Sicuramente ci prova il nostro Gino nazionale che, con i suoi compagni di sempre, sotto la regia di Luchino Visconti, già nel gennaio del 1945 torna a calcare le scene del teatro Eliseo di Roma con Parenti terribili di Jean Cocteau.

…L’interpretazione, come si e detto, guidata dalla regià di Luchino Visconti, è stata efficacissima. Le particolari fatiche (si tratta proprio di vera fatica) della Pagnani vanno elogiate, assai espressiva ed incisiva la Morelli, il Pierfederici ha felicemente superato il suo esame di maturità d’attor giovane, pregevole la bravura della Braccini e come sempre plasticamente equilibrato il Cervi. Applausi a scena aperta, chiamate senza numero ad ogni fine d’atto, calorosisimi. Da oggi le repliche.
a.d.d. (La Voce Repubblicana – Roma, giovedì 1° febbraio 1945)

Un successo straordinario che sarà ottimo viatico per gli anni futuri che si avvicinano velocemente: quelli del dopoguerra e del boom economico.

Gino Cervi dal teatro Eliseo a Peppone.

A I parenti terribili di Jean Cocteau seguiranno, con la stessa ditta, altre impegnative interpretazioni: La guerra di troia non si farà di Jean Giraudoux, Il quieto vivere di Testoni, Oh, il matrimonio di Geoge Bernard Shaw.

L’ultimo scorcio degli anni ’40 vede anche il ritorno di Gino Cervi al Cinema, impegnato in pellicole soprattutto in costume. Film drammatici, come Il Cristo proibito di Curzio Malaparte con Raf Vallone e Rina Morelli, si alternano a commedie divertenti del tipo di Cameriera bella presenza offresi…di Giorgio Pàstina con Elsa Merlini, Edoardo De Filippo e Vittorio De Sica, o pellicole di avventura come Il caimano del Piave di Giorgio Bianchi.

Il Cinema “neorealista” del primo dopoguerra snobba decisamente, quanto inspiegabilmente, un interprete come Gino Cervi. Nonostante proprio il suo “Quattro passi fra le nuvole” del 1942 sia considerato, oggi, un antesiniano del genere.

Gino Cervi, in questo periodo, alterna continuamente il Cinema al Teatro.

Dal 1949 al 1951 forma ditta ancora insieme ad Andreina Pagnani. Con lei mette in scena diverse rappresentazioni.

Nella stagione ’49/’50: Quel signore che venne a pranzo di Kaufman e Hart, Anche i grassi hanno l’onore di Valentino Bompiani, Harvey di Mary Chase.

Per chi ama il teatro e la sua storia.

In quella del ’50/’51: La regina e gli insorti di Ugo Berti, Gli ultimi cinque minuti di Aldo De Benedetti, I figli di Edoardo da un adattamento di Marc-Gilbert Sauvajon.

Continuano senza posa anche le interpretazioni cinematografiche, numerosissime, ma non tutte degne di nota. Non tanto per una mancata capacità interpretativa di Cervi, quanto, per l’obbiettivo scarso valore di certe pellicole. Una su tutte Il coraggio, di Domenico Paolella, interpretato da Cervi al fianco di un Totò che, ovviamente, è l’unica giustificazione all’esistenza del film.

Del 1953 è Stazione Termini, di Vittorio De Sica, dove Gino Cervi recita al fianco di due mostri sacri del Cinema americano: Jennifer Jones e Montgomery Clift.

Presentato al festival di Cannes, il film ebbe tiepida accoglienza e, visto lo sforzo di produzione, non potè nemmeno vantare gli incassi esorbitanti che forse i produttori si aspettavano. Nel complesso ebbe un discreto successo di pubblico, visto che si posizionò al 29° posto, per incassi, su 161 film prodotti in Italia quell’anno. La maggior parte delle critiche al film provengono dai fanatici del “neorealismo”, che ovviamente si sentono delusi dalle scelte di De Sica e Zavattini (lo sceneggiatore).

Del 1954 è invece Il Cardinale Lambertini, film che il regista Giorgio Pàstina trae dall’opera teatrale del 1905 di Alfredo Tosoni. Cervi interpreta il cardinale bolognese sia nella versione cinematografica che in quella televisiva del 1963 ed è un clamoroso successo.

Gino Cervi diventa il sindaco Peppone.

Pochi anni prima, nel ’51, Gino Cervi “incontra” il personaggio che, per primo, lo riporta al livello di notorietà, come attore cinematografico, di prima della guerra: Peppone.

L’incontro avviene con il film Don Camillo di Julien Duvivier, recitato al fianco di un incredibile Fernandel e che esce nelle sale il 15 marzo 1952. Il successo della pellicola è, a dir poco, planetario e legherà indissolubilmente i nomi dei due attori ai loro rispettivi personaggi.

La straordinaria capacità, con cui entrambi i protagonisti riescono a portare sul grande schermo queste due figure di “amici-nemici” (il prete don Camillo e il sindaco Comunista Peppone), supera largamente i meriti, sicuramente notevoli, dell’opera di Giovannino Guareschi).

Gino Cervi riesce a rendere talmente vivida la figura del rozzo, fanatico, ma infondo onesto, sindaco comunista del paese di Brescello, nella bassa padana, che l’identificazione fra attore e personaggio appare totale totale.

Grande successo e grande popolarità, dunque, per questo autentico maestro dell’arte interpretativa, che ha dedicato al suo mestiere tutta la propria vita.

Nel breve volgere di pochi anni il film Don Camillo viene proiettato in ben 18 paesi stranieri. Compresi Giappone, Stati Uniti e Finlandia!

Al primo Don Camillo seguono altre cinque pellicole:

Il ritorno di don Camillo del 1953

Don Camillo e l’onorevole Peppone del 1955

Don Camillo monsignore, ma non troppo del 1961

Il compagno don Camillo del 1965

Don Camillo e i giovani d’oggi del 1970.

Quest’ultimo film rimane incompiuto per la morte di Fernandel.

Per gli affezionati della serie…

Gino Cervi, che, come Jean Gabin, con il grande Fernandel ha stretto una sincera amicizia, rifiuta di lavorare ancora e gli atti successivi della saga furono girati con attori differenti. Ovviamente nessuno se ne ricorda più.

Un fatto molto particolare era, però, accaduto negli anni in cui Gino Cervi e Fernandel interpretavano i rispettivi ruoli nei film della serie Don Camillo: anche in Italia, nel 1954, iniziano le trasmissioni televisive!

La RAI (Radio Televisione Italiana) utilizza proprio alcuni film popolari per quelle prime trasmissioni, destinate ad intrattenere gli italiani innanzi al magico piccolo schermo che, allora, pochissimi hanno in casa e vanno tutti a vedere nei bar.

Il primo film proiettato dalla Rai, il 3 gennaio 1954, è proprio quel Le miserie del signor Travet, diretto da Mario Soldati nel 1945 ed interpretato, fra gli altri, anche dal nostro Gino Cervi.

Sembra quasi un segno del destino. Di lì a dieci anni, nel 1964, l’interpretazione di Gino Cervi nella serie televisiva Le inchieste del commissario Maigret, decreterà il successo assoluto dell’attore anche nell’ambito di questo nuovo e rivoluzionario mezzo espressivo.

Gino Cervi 1964; l’incontro con la RAI.

Nel 1954 iniziano le trasmissioni televisive anche in Italia! Non passa molto tempo e tutti gli addetti ai lavori si rendono conto dell’importanza di apparire in una trasmissione televisiva.

La popolarità è garantita.

Gino Cervi non ha certo bisogno di guadagnarsi una popolarità che già si è conquistato con anni di cinema e di teatro, ma tant’è i tempi mutano e chi fa un lavoro come quello dell’attore, certi treni non può proprio permettersi di perderli.

Poi se le occasioni sono ghiotte…

Certamente ghiotta, per Gino Cervi, è l’occasione di partecipare, da protagonista, alla serie dedicata al commissario Maigret e alle sue inchieste.

 

L’idea nasce nella mente poliedrica di un autore teatrale, ma anche televisivo come Diego Fabbri.

Reduce dal successo in teatro del suo Processo a Gesù, Diego Fabbri pensa di portare in televisione una produzione originale, imperniata sul personaggio simenoniano che egli ama moltissimo.

L’idea prende forma e, subito, si pensa proprio a Gino Cervi per il ruolo di Maigret.


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Maigret Gino Cervi: perfetti insieme.

Oggi noi siamo portati quasi naturalmente ad immedesimare la figura del popolare poliziotto francese, uscito dalla penna di Georges Simenon, con il volto e i modi dell’attore italiano, Gino Cervi, che lo interpretò in televisione in ben 16 episodi.

Siamo talmente abituati a questo, che la figura dell’attore e quella del personaggio hanno finito per sovrapporsi, al punto, che ci sembra proprio che l’interprete, Gino Cervi, avesse già in se stesso tutti quei tratti in comune con il suo personaggio e che sia stato del tutto naturale, per lui, entrare nei panni di un “se stesso” che faceva semplicemente un altro mestiere.

Non è esattamente così che sono andate le cose.

Certo se Diego Fabbri e Romildo Craveri puntano proprio su Cervi è perché certe sue caratteristiche umane, oltre che fisiche, fanno propendere in quella direzione.

Maigret è l’esatto opposto di quel tipo di detective americano, che il pubblico ha imparato ad immaginare attraverso i classici noir hollywoodiani, stile Humphrey Bogart e che l’attore Ubaldo Lay portò con fortuna sullo schermo televisivo italiano, fra il 1959 e il 1972, con la serie del Tenente Sheridan.

Niente violenza in Maigret, niente cinismo. Ma anche nessuna supponenza e sottile deduzione, come nel Nero Wolfe interpretato magistralmente da Tino Buazzelli, nella serie che la RAI manda in onda fra il 1969 e il 1971, o nelle sei puntate di Philo Vance del magnifico Giorgio Albertazzi del settembre 1974.

I tratti distintivi di Maigret, lo sappiamo, sono umanità ed indagine psicologica, bonomia apparente e altrettanto apparente ruvidità.

Un uomo semplice, ma capace di sentimenti forti ed autentici. Dotato soprattutto di buonsenso e con i piedi saldamente per terra.

Evidentemente cercando fra gli attori di un certo rilievo presenti nel panorama italiano del tempo, la scelta non poteva cadere che su Gino Cervi. La cosa, come sappiamo, ha funzionato molto bene e, questo, nonostante il Cervi si sia trovato ad interpretare un personaggio di 50 anni, quando lui ne aveva ormai ben più di 60.

Gino Cervi “costruisce” il suo Maigret con impegno.

Nonostante le tante affinità caratteriali e quello specifico timbro recitativo, caratteristico del Cervi, particolarmente adatto al personaggio simenoniano, Cervi, deve studiarselo Maigret. Costruirlo con professionalità ed impegno.

…me lo sono studiato tanto, ci ho lavorato tanto sopra; mi sono perfino ammalato. Se questo mio Maigret parlasse francese, ti andrebbe a pennello: ne sono certo.

Così, Gino Cervi, scrive al giornalista Mino Doletti, che in una recensione del 1965 definisce la sua interpretazione:

«un Maigret-Cervi autonomo e per questo ancor più straordinario»

C’è un grande lavoro artistico dietro l’interpretazione del grande attore italiano. Oltre ad un’affinità elettiva che, indubbiamente, lo aiuta in questo lavoro di identificazione. Quasi un vero e proprio transfert.

…Il fatto è che nella mia lunga carriera non mi sono innamorato mai di un personaggio come di questo. Io a Maigret voglio un bene dell’anima. Mi piace tutto di lui, anche quello che mangia e quello che beve.

Scrive, sempre Cervi, ad un altro giornalista che sottolinea quanto sia particolarmente riuscita l’identificazione dell’attore con il personaggio.

Con il Peppone di Guareschi, Cervi ha lavorato per arricchire il personaggio e conferirgli quel tanto in più, necessario a caratterizzarlo. Con il Maigret di Simenon Cervi si cala letteralmente nel personaggio assimilandone anche gli aspetti più sottili.

Non può che essere un successo fuori dall’ordinario.

I numeri di ascolto da parte del pubblico parlano di milioni di telespettatori; fino a 18 per l’ultima puntata del ’72.

Il successo del Maigret italiano è anche merito di un lavoro collettivo.

Le quattro serie de Le inchieste del commissario Maigret, trasmesse fra il ’64 e il ’72, non devono il loro successo unicamente alla strepitosa interpretazione di Gino Cervi. Moltissimi altri interpreti di grande caratura, quasi tutti provenienti dal teatro, contribuirono alla riuscita di questa produzione RAI, che rimane e rimarrà nella storia della televisione italiana.

gino cervi con andreina pagnani in maigret

Andreina Pagnani con Gino Cervi nelle Inchieste del commissario Maigret

In prima fila, naturalmente, Andreina Pagnani. Compagna di Cervi lungo gran parte della sua carriera, prima a Teatro e poi al Cinema. Nella serie televisiva è un’indimenticabile Signora Maigret.

Poi Mario Maranzana che interpreta Lucas, Manlio Busoni, Daniele Tedeschi e Gianni Musy: rispettivamente Torrence, Janvier e Lapointe.

Ancora, il giovane Oreste Lionello nei panni del dott. Moers, lo specialista della scientifica, e il collaudato Franco Volpi impeccabile e insopportabile giudice Coméliau.

Poi uno stuolo di mostri sacri del teatro italiano che, volta per volta, donano volto, voce e anima, ai vari protagonisti delle inchieste del commissario.

Attori del calibro di Cesco Baseggio, Ivano Staccioli, Giulio Girola, Silvano Tranquilli, Gino Pernice, Sergio Tofano, Leopoldo Trieste, Gian Maria Volonté, Arnoldo Foà, Andrea Checchi.

Attrici famose ed amate come Marisa Merlini, Marina Malfatti, Lidia Alfonsi, Evi Maltagliati, Ileana Ghione, Carmen Scarpitta.

L’elenco è assolutamente incompleto. Ne mancano moltissimi altri.

Fra i tecnici che lavorarono al successo della serie RAI c’è anche Andrea Camilleri. L’autore di Montalbano, il famoso commissario siciliano che di Maigret rievoca alcuni tratti, fu responsabile di produzione per tre episodi della serie.

In diverse interviste Camilleri ha rievocato questa sua esperienza lavorativa, forse, a mio avviso, enfatizzandone un pochino il proprio ruolo. Magari sbaglio e, ad ogni modo, se peccato c’è è assolutamente veniale.

Quello che invece mi ha colpito, proprio documentandomi per questo post, è stata l’assoluta assenza di notizie riguardo a quel Romildo Craveri che insieme a Diego Fabbri curò la sceneggiatura e l’adattamento televisivo delle opere di Simenon, contribuendo a regalarci l’indimenticabile serie RAI, che ancora oggi tutti ricordano ed apprezzano: anche quelli che allora nemmeno erano nati.

Tornando a Gino Cervi: negli stessi anni in cui interpreta le serie dedicate al commissario Maigret, l’attore continua anche l’attività cinematografica partecipando a ben dieci pellicole.

Gino Cervi: attore protagonista del ‘900

Nel 1972 gli ultimi tre film:

Fratello ladro di Pino Tosini;

Uccidere in silenzio di Giuseppe Rolando;

I racconti romani di un ex novizia di Pino Tosini.

L’ora del ritiro dalle scene anche per Gino Cervi.

Nel 1972 Gino Cervi, all’età di 71 anni, si ritira definitivamente dalle scene, anche se continua ad apparire, in televisione, nel famoso Carosello, dove pubblicizza il brandy Vecchia Romagna.

Cervi muore, nella sua casa di Punta Ala (Grosseto), il 3 gennaio 1974.

Alle sue esequie sono presenti in molti: diecimila, si è detto. Gente di cinema e teatro, come Vittorio De Sica, che morirà a Parigi nel novembre di quello stesso anno, Eduardo De Filippo, Federico FelliniAndreina Pagnani e tanti altri.

Una carriera, quella di Gino Cervi, che non si può certo limitare a Peppone e Maigret, ma che attraversa, come abbiamo visto, tutto l’arco temporale del novecento italiano: teatrale, cinematografico e televisivo. Attore protagonista o comprimario, ma sempre ai massimi livelli. Doppiatore, anche, e di che calibro! Sua la voce di Laurence Olivier e Orson Welles, nelle opere shakespeariane, Ambleto ed Enrico V, il primo, Otello, il secondo.

Eduardo De Filippo ebbe a definirlo “La voce più bella del teatro italiano”, mentre proprio Laurence Olivier disse di lui:

“Non conosco Cervi, certo ha la voce più bella della mia”

Disse nel 2001 Tonino Cervi, regista, figlio di Gino e padre di Valentina, attrice:

“Se mio padre fosse vissuto in Francia oggi gli avrebbero dedicato piazze e strade. Se fosse stato americano lo considererebbero un divo. Invece era italiano e pigro. E nessuno, nemmeno nella Bologna che ha onorato, finora gli ha dedicato niente». Forse perché la pensava diversamente da chi governava la città o perché non era salottiero.”

Oggi, a Bologna, una targa posta all’angolo tra via Cartoleria e via S. Stefano, ricorda al passante che in quella casa nacque Gino Cervi, uno tra i più grandi attori italiani di sempre. Una via, nella sua città natale, gli è stata intitolata, ma solo di recente. Una brutta via di palazzoni, ma tant’è. Nel cuore degli italiani, spero anche di quelli più giovani, e nel libro d’oro della storia della cultura italiana, il nome di Gino Cervi rimane scritto a lettere d’oro!

Gino Cervi le inchieste del commissario maigret

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Gino Cervi il Maigret italianoultima modifica: 2018-04-06T13:39:42+02:00da albatros-331
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4 comments for “Gino Cervi il Maigret italiano

  1. 1 novembre 2018 at 15:59

    Avevo 10 anni quando ho visto per la prima volta gli sceneggiati di Maigret,ora ho 64 anni e me li rivedo su PC ,sono favolosi,la migliore produzione Rai insieme a Un medico in Famiglia e Don Matteo,grazie RAI..

    • 4 novembre 2018 at 18:40

      Grazie per il tuo intervento Paolo. Vedo che siamo della stessa generazione. Condivido la tua opinione sugli sceneggiati Maigret dei “tempi nostri”. Anche su mamma RAI sono abbastanza d’accordo. Potrebbe fare di meglio, sicuramente, ma, visto i tempi che corrono, direi che riesce ancora a proporre buone produzioni. Anche se adesso dobbiamo chiamarle “Fiction”, altrimenti siamo fuori moda. Speriamo che tenga duro. Un giorno potremmo vedere un nuovo Maigret di buon livello. Chissà? A presto.

  2. 10 aprile 2018 at 23:29

    Degli sceneggiati della serie RAI, come per i romanzi e i racconti del nostro “Primo Commissario Maigret” – che ho letto e non ho mai smesso di rileggere – provo nostalgia e vero dispiacere per il fatto di non poterne avere di nuovi, benché sia le videocassette che i DVD (le cui quotazioni sono salite alle stelle) della mia collezione siano oramai usurati dal tropo frequente uso.
    Grazie per questo Blog e per gli articoli sull’oggetto della mia passione. Un solo, amichevole, appunto: Non è stato citato Mario LANDI, il regista delle serie di Maigret “Cervi”, che fa capolino nelle inquadrature in alcune sigle di apertura. Una menzione doverosa anche per il compianto Lugi Tenco, la cui canzone della sigla “Un giorno dopo l’altro”, in italiano e in francese, ha reso sublime l’incipit dello sceneggiato. Adesso berrei un calvados alla Brasserie Dauphine! 😉

    • 11 aprile 2018 at 10:10

      Grazie Aldo per aver letto e, soprattutto, commentato questo post. I blog sono fatti da articoli e pagine, ma vivono di “commenti”, cioè del contatto con chi i post e le pagine li legge. Detto questo non posso che prendere atto che ho proprio dimenticato di citare Mario Landi e Luigi Tenco. E non è una dimenticanza da poco. Ad entrambi la nostra generazione deve parecchio, per la qualità del loro lavoro e per le emozioni che ci hanno regalato. Bisognerà rimediare. Magari con un post dedicato specificatamente alla serie Le inchieste del commissario Maigret nel suo complesso. Mi organizzo. A presto.

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